TULLIO SOLENGHI Una «Bisbetica» speciale

Arriva finalmente al Carcano la commedia shakespeariana che ha già spopolato a Roma

Enrico Groppali

Arriva finalmente a Milano quella Bisbetica domata che, nell’interpretazione di Tullio Solenghi e di una compagnia di giovani tutti singolarmente affiatati, ha spopolato a Roma e in varie città d’Italia.
Nata come una costola della compagnia Lavia con un regista in via d’affermazione come Matteo Tarasco, questa Bisbetica intende rifarsi nella scelta degli interpreti (tutti di sesso maschile come nell’età elisabettiana) e nei costumi colorati e chiassosi di Andrea Viotti al concetto di «festa popolare» teorizzato da Rousseau.
Una scelta che Solenghi appassionatamente condivide. «È un’esperienza - esordisce - che mi ricorda il primo provino della mia carriera davanti a Squarzina a cui declamai la parte di Petruccio facendo il verso a tutti i dialetti d’Italia. “Bravo!”, mi disse abbracciandomi, “ecco lo spirito giusto per mettersi al lavoro”!».
Un precetto che si attaglia perfettamente all’équipe riunitasi attorno al prim’attore più imprevedibile della nostra scena che, illustrando lo spettacolo, si diverte come un bambino col Meccano. «Troppi registi - confida - vedono nella Bisbetica solo la satira della coppia borghese, trascurando il bellissimo prologo. Dove il calderaio Sly, uno sbruffone ubriaco antesignano di tutti i clochard, è costretto ad ascoltare la storia di Caterina e Petruccio recitata da un gruppo di guitti che lo trattano come un gentiluomo».
«È uno spaccato grottesco in cui il grande Will fa del teatro nel teatro con quattro secoli d’anticipo - continua Solenghi -. Ma soprattutto spinge il pedale in direzione di un problema su cui oggi si accanisce la psicanalisi: è il sogno o la veglia l’autentica realtà? Un quesito di tale importanza da persuaderci non solo a conservare questo bizzarro antefatto, ma di convincerci a potenziarlo. Tanto è vero che Sly, nella nostra lettura, è talmente impressionato dagli attori da scambiarli per veri personaggi del gran gioco della vita. Fino a identificarsi a tal punto con Petruccio da voler portarsi via Caterina a fine rappresentazione».
«Proseguendo su questa strada - incalza da parte sua il regista Tarasco - avremmo potuto far coincidere lo stato onirico di Sly col delirio di Amleto vittima del fantasma paterno e assoggettato, come tutti sappiamo, alla mediazione dei comici col loro repertorio di orrori. Ma è una cartuccia che ci riserviamo di sfruttare in futuro. Meglio, per il momento, non sprecare altri proiettili» soggiunge con una schietta risata.
«Vorrei invece che il pubblico - conclude Tarasco - si accorgesse di due attori come Giancarlo Condé e Marco Cavicchioli abbigliato come i re e gli alfieri dei tarocchi degli Sforza.

E badassero ai soprassalti ginnici della Caterina di Francesco Bonomo che, dimentica dei suoi doveri filiali, si muove sempre in un universo altro. Volando come la fata Campanellino di Walt Disney sul soffitto del palagio in cui si celebreranno le sue nozze più e meglio di David Copperfield».

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