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Turchia all’assalto dei curdi: caduti in battaglia 150 ribelli

Le forze armate della Turchia hanno ucciso 150 ribelli curdi lungo il confine con l'Irak. Lo ha detto un portavoce della Difesa, che ha presentato i numeri della campagna contro il Pkk cominciata grazie all'aiuto dell'intelligence americana e degli aerei senza pilota fabbricati in Israele. Secondo il generale Fahri Kir, le squadre speciali hanno impedito che i ribelli portassero “paura e caos” in Turchia con una serie di attentati nei grandi centri del Paese. Il bilancio è pesante anche per l'esercito, che conta cinquanta vittime. Otto soldati sono morti ieri in un attacco nella parte orientale del Paese, altri sei hanno perso la vita il 30 maggio nella base navale di Iskenderun, al bordo con la Siria, colpita con un missile.
La frontiera con l’Irak, dove il Pkk vorrebbe costruire uno Stato indipendente, è il nuovo problema della Turchia, che cerca da mesi di modificare il proprio ruolo sulla scena internazionale. I cambiamenti più importanti riguardano i rapporti con Israele. Ankara è stata a lungo il migliore alleato di Gerusalemme in Medio Oriente, insieme hanno costruito insieme un'intesa commerciale solida, hanno portato a termine decine di esercitazioni militari e hanno pensato progetti impegnativi come il Medstream, un condotto formato da cinque tubi che avrebbero dovuto garantire acqua, gas e petrolio alle città del Negev. Il primo colpo all'alleanza è arrivato al vertice di Davos del 2009, quando il premier turco, Recep Tayyip Erdogan, ha lanciato accuse al presidente israeliano, Simon Peres, per l'operazione antiterrorismo nella Striscia di Gaza. Ma l'episodio più grave è avvenuto alla fine di maggio: una flotta di navi cariche di aiuti umanitari ha lasciato il porto di Antalya, sulle coste turche del Mediterraneo, con l'obiettivo di rompere il cordone di sicurezza che l'esercito di Israele ha costruito intorno a Gaza. Il loro viaggio è finito a settanta miglia dalla città palestinese, dopo un raid dell'Idf che è costato la vita a nove civili. A bordo non c'erano soltanto attivisti, ma anche fanatici armati che hanno attaccato i soldati israeliani. Erdogan ha preteso una riunione straordinaria del Consiglio di sicurezza dell'Onu e ha chiesto una “punizione severa” per Gerusalemme. Il suo ministro degli Esteri, Ahmet Davutoglu, non ha escluso di interrompere le relazioni coi vecchi alleati.
Questa non è una buona notizia per l'Occidente. Molti analisti credono che esista un legame fra i problemi con Israele con i successi di Giustizia e sviluppo (Akp), il primo partito della Turchia, al quale appartengono sia il premier Erdogan, sia il presidente della Repubblica, Abdullah Gül. L'Akp è un movimento molto popolare in Anatolia, la parte più povera e più religiosa del Paese. Ha vinto le prime elezioni nel 2003 e da allora non ha mai lasciato il potere, nonostante un processo per attività sovversive lanciato tre anni fa da un tribunale di Ankara e finito senza conseguenze. Il periodo di stabilità ha avuto ripercussioni positive sull’industria turca: le imprese sono in salute nonostante la crisi globale e conquistano spazio sui mercati internazionali e le fabbriche di Gaziantep, Adana e Malatya, escluse per anni dallo sviluppo del Paese, attirano capitali da tutto il Medio Oriente. Centinaia di mercanti arrivano ogni giorno dalla Siria e dalla Georgia per acquistare prodotti turchi da vendere nei loro bazar.
Il governo incentiva in tutti i modi questo processo, ha abbassato le tariffe doganali e pensa di costruire zone di libero scambio nelle province orientali. La strategia ha ricadute profonde sulla politica estera. I rapporti con la Grecia e la Armenia sono migliorati notevolmente negli ultimi anni, così come quelli con l'Iran, con la Siria e con altri vicini pericolosi del Medio Oriente. Per questo, alcuni pensano che la Turchia di Erdogan sia sempre più lontana dall'Occidente. Secondo Wolfango Piccoli, un analista del think tank Eurasia Group, «il Paese ha un'economia forte e ne approfitta per allargare la propria influenza sulla regione». Ankara cerca di raggiungere l'obiettivo usando il suo softpower: scambi, accordi economici, intese diplomatiche. Erdogan vuole partecipare a tutte le decisioni che riguardano i confini della Turchia, ha messo la questione di Gaza in cima alle priorità del governo, ha cercato di mediare i colloqui indiretti fra la Siria e Israele e si è inserito nella trattativa sul nucleare iraniano ottenendo un accordo con gli ayatollah che gli Stati Uniti e l'Onu hanno sconfessato in poche ore. Dopo anni passati alla periferia dell'Occidente, la Turchia ha fretta di tornare al centro.

Com'era ai tempi dell'Impero ottomano.

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