In Turchia monta la rabbia per il massacro dei «fratelli d’Oriente»

La Turchia scende in campo al fianco dei «fratelli uiguri» ed esprime tutta la sua «preoccupazione» per le violenze in atto nella provincia cinese del Xinjiang. E se da una parte Pechino incassa un’altra voce nel coro delle condanne per la repressione delle proteste della comunità uigura a Urumqi, dall’altra porta a casa il quasi scontato appoggio di Mosca, intenzionata a rimanere fuori da quella che reputa una «questione interna». Il premier turco Recep Tayyip Erdogan ieri ha preso la parola, per dichiarare «preoccupazione e sgomento» per i fatti nella regione cinese a maggioranza musulmana, dove gli scontri hanno provocato la morte di centinaia di persone. «Seguiamo gli eventi con grande preoccupazione e sgomento - ha detto Erdogan - e vediamo con preoccupazione che effetti questi eventi stiano avendo sui fratelli uiguri che vivono in Turchia. Gli scontri si sono estesi con ferocia».
Lo Xinjiang è una regione particolarmente cara ad Ankara perché la minoranza musulmana - gli uiguri, di stirpe turca - parla una lingua che è una variante dell’antico ottomano. In altre parole, hanno un posto d’onore nella grande nazione panturca, per la quale Ankara ha da sempre un occhio di riguardo.
Quella di Erdogan non è stata l’unica voce a sottolineare la «preoccupazione» turca. Anzi, ancora più secco è stato il ministro degli Esteri Ahmet Davutoglu. «Ci aspettiamo - ha detto all’emittente Ntv - che la Cina riporti ordine, giustizia e trasparenza e che si adoperi per migliorare le condizioni umanitarie e relative ai diritti civili. Diamo grande importanza all’alleanza con la Cina e consideriamo la comunità uigura come un ponte essenziale per questa fratellanza».
La questione uigura ha compattato, per una volta, il Parlamento turco tutto da parte del governo. Il segretario del Partito nazionalista (Mhp), Devlet Bahceli, ha parlato di massacro e attacchi diretti contro i fratelli turchi, sostenendo che gli scontri sono arrivati pochi giorni dopo la visita del presidente Gul e che quindi si tratta di un chiaro gesto contro il Paese della Mezzaluna. Il parlamentare dell’Akp del premier Erdogan, il partito per la Giustizia e lo sviluppo, Seracettin Karayagiz, ha abbandonato l’associazione parlamentare per l’amicizia Turchia-Cina perché quello che sta succedendo nello Xinjiang «è disumano».
Non mancano le manifestazioni di protesta. Gruppi di ultranazionalisti hanno marciato contro il consolato cinese di Istanbul e sono già stati proposti i primi boicottaggi dei prodotti made in China. Ieri mattina centinaia di manifestanti si sono riuniti intorno all’ambasciata di Ankara. La Musiad, l’Associazione industriali legata agli ambienti islamici, ha chiesto persino di interrompere qualsiasi forma di business con la Cina.
Conferma di solidarietà politica e diplomatica alla Cina arriva invece dal ministro russo degli Esteri che ieri ha condannato i ribelli per «l’uso di slogan separatisti e la provocazione di intolleranza etnica».

Per essere ancora più chiaro Lavrov aggiunge: «Ribadiamo che la Russia vede lo Xinjiang come una parte inalienabile della Repubblica popolare cinese e considera gli episodi di questi giorni un puro affare interno della Cina».

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