da Milano
Traditi dall’arroganza e dalla sicurezza di averla fatta franca. I due magrebini il giorno dopo lo stupro delle due francesi hanno mandato un «sms» di scherno alle vittime: «Ti ricordi di me?». Una frase a metà tra la minaccia e lo sberleffo. Ma così hanno permesso agli investigatori di risalire al telefono da cui era partito il messaggio. Appartiene a un terzo tunisino che, essendo estraneo alla vicenda, ha fornito indicazioni utili a rintracciarli.
Sono così finiti in manette due tunisini e non algerini come si erano presentati, di 24 e 26 anni. Clandestini, avevano trovato impiego come muratori nell’azienda edile di un uomo di 53 anni, pregiudicato per armi e droga e che aveva anche prestato loro il casolare di Sale in provincia di Alessandria dove è avvenuta la violenza.
Da qui, i due tunisini si recavano spesso a Milano, distante una settantina di chilometri. Come appunto giovedì sera, quando si ritrovano a gironzolare per la stazione Centrale. Verso le 23, incontrano due ragazzine francesi di 18 e 20 anni. Sono dirette ad Arona sul lago Maggiore per raggiungere alcuni amici, ma hanno perso il treno delle 21.25 e devono aspettare fino alle 6.30 il prossimo. I due tunisini sono ben vestiti, viso pulito, modo educati e gentili. Non hanno certo stampato in volto l’espressione del «lupo cattivo». Parlano un ottimo francese, particolare che fa abbassare ulteriormente la naturale soglia di diffidenza della giovanissime turiste che incautamente accettano un passaggio fino ad Arona.
Ma l’auto dei due bruti, una Citroen C3, si dirige a Sale. Le ragazze capiscono le intenzioni dei due quando arrivano al casolare. Provano a resistere, estraggono dalla borsa uno spray al peperoncino, ma i ragazzi glielo fanno saltare di mano. Le minacciano con coltelli e bastoni. Il più giovane e il più «cattivo», dei due le minaccia ripetutamente «Non fate le cretine che vi ammazziamo. Anzi, quasi quasi vi ammazziamo lo stesso». Quindi le ragazze vengono separate e violentate in due stanze diverse. Un paio di ore dopo, le francesine sono scaricate in centro a Milano, vedono un albergo aperto e chiedono aiuto.
Le indagini non sono facili. C’è quell’indicazione di Sale, dove già all’alba si recano decine di agenti guidati dal vicedirigente della mobile Fabio Bernardi e dai funzionari Antonio D’urso e Alessandro Lemmo, costantemente in contatto con la pm Giuseppina Barbara. Ma le ragazze non riescono a ritrovare il posto. Poi l’inaspettato aiuto: i due mascalzoni prima di liberare le ragazze, si erano infatti fatto dare i numeri di cellulare. Per poi sbeffeggiarle con il «messaggino».
Gli agenti individuano il telefono e risalgano un terzo tunisino. Che però non c’entra nulla e che, di fronte alla prospettiva di finire invischiato in una brutta storia, collabora subito con gli investigatori. Mostrando i numeri di telefono composti dai due stupratori con il suo apparecchio. Tra questi c’è anche quello del datore di lavoro. Viene individuato l’uomo, scoprendo non solo che ha una fedina penale lunga un chilometro, ma anche che è titolare di un’impresa edile e risulta proprietario di una casolare a Sale in via vecchio Po.
Gli investigatori trovano il casolare, con dentro i bastoni e i coltelli descritti dalle ragazze, ma i tunisini non ci sono. La svolta arriva inaspettata domenica mattina. L’imprenditore edile ha sentito i notiziari, intuisce che i ricercati sono i suoi dipendenti li chiama al telefono «C’è una grana da risolvere, meglio che veniate a trovarmi» con il chiaro intento, di farli fuggire. Infatti oltre che per aver fatto lavorare due clandestini, verrà anche denunciato per favoreggiamento.
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