Tutta l’angoscia della morte nel noioso viaggio di Aronovsky

The Fountain in Italia è diventato il sottotitolo. Il titolo è L'albero della vita, omonimo di un film di mezzo secolo fa di Edward Dmytryk. E forse non è un caso l'appaiamento: anche il film allora era velleitario, costò molto e incassò poco; ma il fiasco di Dmytryk non lasciò «vedove», salvo il produttore. Invece Aronovsky ha i suoi devoti nella critica. Passato per la Mostra di Venezia L'albero della vita-The Fountain appartiene al genere più temibile: quello onirico. Per fortuna, fra Mostra e uscita in sala, il regista ha capito e ha tagliato circa dieci minuti. Non abbastanza per cambiare il giudizio in positivo, ma abbastanza per apprezzare il gesto. Del resto Aronovsky parte dal più semplice dei grandi dolori, la morte, oggi, della propria compagna. Ma v'imbastisce un'odissea nel passato e nel futuro. Hugh Jackman e Rachel Weisz si fanno in tre. Lui per battersi (da conquistador del XVI secolo, che cerca la fonte della giovinezza per la sua regina; da astronauta del XXVI, che è vissuto più dei coetanei; da medico del XXI, che spera di curare il male della moglie). Lei per morire. Già il tipo di storia angoscia.

Nei momenti di lucidità, se fuori dal cinema - dove siete entrati nonostante lo sconsiglio - piove molto forte, potrete evocare i precedenti nefasti, a cominciare da Sogno di prigioniero di Henry Hathaway, che fu, non a caso, caro ai surrealisti.
L’ALBERO DELLA VITA - THE FOUNTAIN di Darren Aronovsky (Usa, 2006), con Hugh Jackman, Rachel Weisz, 96 minuti

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