Tutte le ombre dell’impero Romano

Nel 1993 disse: «Non mi interessa fare il premier, servono facce nuove»

da Milano

«Io presidente del Consiglio? Non penso proprio a queste cose, l’Italia ha bisogno di facce nuove», Romano Prodi, aprile 1993. Tempo tre anni e la bugia si avvera. Perché in realtà fin da ragazzino il sogno di Romano era diventare premier. È la moglie Flavia Franzoni a raccontare, nell’autobiografia di coppia Insieme (San Paolo, 2005), che lui diciannovenne studente della Cattolica di Milano, dopo aver superato l’esame di Codice civile, il più duro, urlò ai compagni di stanza Tiziano Treu e Giovanni Maria Flick: «Tra me e la presidenza del Consiglio non ci sono più ostacoli». Era l’inizio della parabola che avrebbe portato «un uomo qualsiasi» dalle seggiole dell’università alle poltronissime del potere italiano ed europeo.
«L’uomo qualsiasi» è l’inserto monografico che oggi il Domenicale, settimanale diretto da Angelo Crespi, dedica all’ex presidente Iri, ex presidente della Commissione Europea, ex presidente del Consiglio dal 1996 al 1998. Sotto il simbolo dell’omino stritolato dal torchio, che richiama l’Uomo qualunque di Guglielmo Giannini, sotto le manchette dei pomodori Cirio «buoni per tutte le salse», tre pagine di «agiografia non autorizzata del professore Romano Prodi» scritte dal giornalista Massimo Pandolfi.
Contro i 120 libri, perlopiù dispregiativi, sul Cavaliere, la bibliografia su Romano Prodi è magrissima. «Non esistono in libreria - scrive Pandolfi - libri critici contro il Prof. o comunque si possono contare sulle dita di una mano. Ce n’è uno, del 2000, che ha vissuto una storia emblematica. Si intitola Prodeide, è stampato da una casa editrice che non c’è più, e l’ha curato Antonio Selvatici, un giornalista che oggi vende case». Ex giornalista, perché dopo la biografia non autorizzata di Prodi, «gli hanno fatto terra bruciata intorno».
Eppure nell’armadio di Prodi gli scheletri abbondano (c’è anche un fantasma, quello della famosa seduta spiritica in cui il Professore tirò fuori il nome «Gradoli», la via di Roma dove si trovata un covo brigatista durante il sequestro Moro). Vent’anni fa era il manager pubblico più pagato d’Italia, con 201 milioni di lire di imponibile nel 1984. «E quando nel 1998 dichiarò: “In borsa guadagni poco etici», nel frattempo possedeva un portafogli azionario di un miliardo e 219 milioni che col boom dell’epoca di Piazza Affari si rivalutò in quasi 3 miliardi».
Nel luglio 1993 fu sentito come testimone della vicenda Sme dal pm Antonio Di Pietro, oggi suo alleato. Di Pietro sbattè i pugni sul tavolo: «E i soldi alla Dc chi glieli dava? Lei era capo dell’Iri, possibile che non mi sappia riferire niente?. «Prodi terrorizzato - scrive Pandolfi - andò pare a chiedere conforto al presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro. Qualche giorno dopo arrivò a più miti consigli anche il procuratore capo Francesco Saverio Borrelli: guarda caso al successivo interrogatorio di Prodi, Di Pietro non era neanche più presente».
Nel 1981 Prodi fondò Nomisma, società di analisi e consulenza economica, «il capolavoro del sacro Romano impero». Attorno a Nomisma cresce una rete di incroci tra il Prodi consulente e il Prodi manager pubblico. Come nel 1992, quando viene nominato «garante per le conseguenze territoriali dell’Alta velocità» e tre mesi dopo le Fs chiesero proprio alla Nomisma di Prodi una relazione su tale impatto. Sintetizza perfettamente il giudice Francesco Paolo Casavola, che assolse Prodi per gli strani intrecci di Nomisma: «L’idea che le commesse siano state affidate perché a richiederle erano il presidente dell’Iri e il suo assistente alle società collegate è verosimile, ma non assume gli estremi di reato».
Le pagelle di Prodi presidente della Commissione europea sono pessime. Il giudizio della (oggi) alleata Emma Bonino sulla gestione Prodi degli affari Ue: «Cervello piatto». Il Financial Times: «La sua performance è stata orrenda». Sempre il FT: «È un dilettante, catapultato su una poltrona troppo importante per lui». Le Monde su Prodi a Bruxelles: «Una commissione in pieno caos». Il Times di Londra titolò: «Il problema Prodi». Il tedesco Die Welt: «Impacciato, dal linguaggio piatto, un uomo che perde spesso il filo del discorso dando l’impressione di non sapere bene di cosa stia parlando.»
È invece infallibile nel procurarsi e coltivare amicizie influenti. «Prodi trova immancabilmente l’amico giusto al momento giusto. Come Giovanni Bazoli, dominus di Banca Intesa, suo fedelissimo, insieme potente banchiere e azionista principe del Corriere della Sera». Già, l’informazione. Quante penne alla corte di Romano.

«Negli archivi abbiamo trovato degli ossequiosissimi Arrigo Levi, Lietta Tornabuoni, Giuseppe Turani, Luca Giurato. E nello staff di Mortadella sono passati negli ultimissimi anni Rodolfo Brancoli, Albino Longhi e Gad Lerner», Cioè, tre ex direttore del Tg1.

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