Roma - Pier Ferdinando mette Fini nei Casini. Perché la mano tesa del leader dell’Udc è un mezzo schiaffo al presidente della Camera. E Berlusconi, ad Arcore coi figli, sorride e ai suoi manda messaggi di soddisfazione perché - questo il senso del suo ragionamento - «si rendono conto che non sono finito, anzi». Qualche settimana fa in molti ne chiedevano la testa, adesso gli stessi sembrano fare a gara per corrergli in soccorso. Appena Casini apre e dice «trattiamo» un eventuale ingresso al governo, parte la nota del vicepresidente dei deputati Pdl Osvaldo Napoli a lodare «il pragmatismo di Casini: prima cosa saggia che si ascolta dalle opposizioni da alcuni mesi a questa parte». Ancora più esplicito: «Casini lancia una sfida che la maggioranza non può non raccogliere». Napoli parla di «rimettere carburante alla legislatura destinata altrimenti al naufragio provocato in modo irresponsabile da Fini». E il portavoce vicario del Pdl Anna Maria Bernini va nella stessa direzione: «Inutile evocare la crisi di questo governo e le dimissioni del premier; utile invece lavorare insieme perché il Paese esca dalla crisi più forte, moderno e competitivo». Pure Gasparri apre: «Con Casini si può trattare».
Da tempo il Pdl corteggia i centristi in funzione antifiniana e il «ci siederemo a un tavolo» dell’Udc lascia ben sperare. Poi, da buon democristiano, Casini lascia molte zone d’ambiguità. Dice che «gran parte del mondo dell’industria, dei sindacati e del mondo cattolico ci dice di entrare nel governo per senso di responsabilità» ma graffia il Cavaliere («non ci fidiamo delle sue promesse») e detta condizioni durissime nei confronti della Lega, accusata di avere peso e ruolo eccessivo nell’esecutivo. La sintesi del giudizio berlusconiano alla proposta udiccina la fa Capezzone: «Il leader Udc mostra di comprendere che, per un verso con Bersani, e per altro verso con Fini, non si va lontano. E questo è senz’altro un punto di partenza positivo. Quello che invece non convince e non può convincere è la richiesta di dimissioni al premier. Adesso, delle due l’una: o si permette al governo Berlusconi di lavorare, o si torna alle urne».
Quello che è emerso soprattutto dal non detto di Casini è una vistosa crepa nell’asse con Fini. Non è vero che Pier Ferdinando e Gianfranco siano pappa e ciccia. In realtà il primo comincia a non fidarsi del secondo e l’alleanza tra Fli e Udc in nome dell’antiberlusconismo si sta dimostrando per quello che è: una patacca. I due sono avversari avendo entrambi il medesimo scopo, il medesimo sogno: quello di subentrare nel dopo Berlusconi come leader del centrodestra. Oggi appaiono tatticamente vicini ma domani saranno strategicamente lontani anni luce. Casini e Fini sono in contrapposizione e in lotta tra loro per regnare sul vasto mondo dei moderati italiani e le mosse di entrambi smascherano i propri disegni. Fini cerca a fatica di contenere le spinte sinistrorse dei falchi, assetati di sangue berlusconiano, per presentarsi come futuro capo dei moderati. Casini fa lo stesso, pressato com’è dagli scettici del terzo polo e della politica dei due forni. Nell’Udc infatti in molti la pensano come i transfughi siciliani alla Calogero Mannino e alla Saverio Romano. I quali, tempo fa, hanno lasciato la zattera centrista per aggiungere i propri colpi di remi al barcone del centrodestra. E non è detto che a breve l’Udc subisca un altro strappo al suo interno, in occasione della mozione di sfiducia al governo. Il rischio scissione: ecco un altro valido motivo per lanciare messaggi d’apertura a Berlusconi.
E proprio il Casini dialogante fa sorridere l’ex centrista siciliano, Saverio Romano: «Mi fa piacere che Casini, dopo un lungo periplo attorno ad ipotesi inesistenti di intesa con Fini per il Partito della nazione, e con D’Alema per una riedizione del centrosinistra, si renda conto di due cose: in primo luogo, che un partito di centro, se tale è rimasto l’Udc, non può prospettare ipotesi di governo con il Pd. In secondo luogo, che bisogna fare i conti con questo governo, cioè con Berlusconi, eletto dal popolo».
Tuttavia, non tutti nel Pdl si fidano del leader Udc. Da un democristiano doc come il ministro Rotondi, per esempio, arriva l’altolà: «La proposta di Casini è fuori tempo utile. Temo che senza fiducia - e la partita è tutta aperta - resti solo il ricorso alle urne». Il che dimostra che, centristi o meno, il Cavaliere è più forte di quanto non si pensi.
Intanto tra gli scossoni in arrivo c’è chi racconta di un altro ministro in bilico: Stefania Prestigiacomo, che sarebbe tentata dall’addio al Pdl per passare al «partito del Sud» di Miccichè, che comunque giura fedeltà al Cav.
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