Tutti hanno paura delle elezioni: nessuno riuscirà a battere Silvio

RomaIl partito degli «urnofobici»: quelli che hanno il terrore di perdere, perfino di giocare al gioco della democrazia, perché alla fine potrebbe vincere ancora lui, Berlusconi. Del rassemblement del «no voto» fanno parte in tanti: Confindustria e sindacati; pezzi di maggioranza, partiti di opposizione e cerchiobottisti futuristi; capo dello Stato; poteri forti. Il che non vuol dire che l’opzione delle elezioni anticipate sia per questo scartata. Anzi.
Nelle scorse ore, come sempre del resto, le parti sociali hanno fatto sentire la loro voce. La presidente di Confindustria Emma Marcegaglia lo ha detto chiaro e tondo: «Il Paese va governato, siamo in un momento difficile e anche i mercati finanziari possono creare problemi con l’Irlanda sotto attacco». Stabilità prima di tutto, quindi. «Chiediamo - ha spiegato all’assemblea nazionale dell’Udc - che il Paese sia governato, che non ci siano interruzioni, perché ci sono una serie di cose da affrontare subito». Ma la situazione non è certo rosea e per il futuro «se non ci saranno altre possibilità di avere un governo che governi allora vengano le elezioni». Urne come extrema ratio ma neppure l’ipotesi di un governo tecnico manda in brodo di giuggiole gli industriali: «Sono governi in grado di governare veramente? Non lo so, gli esempi in Italia non sono stati molto positivi». Bocciato il ribaltone, quindi.
Visione analoga da parte dei sindacati, in particolare del segretario della Cisl Raffaele Bonanni, secondo cui «se si va a votare il Paese si sfascia. Ecco perché siamo contrari». E poi: «Bisogna garantire la governabilità e lo si fa ascoltando il fermento che c’è nel civile». Dialogante, misurato, trattativista, Bonanni vorrebbe andare avanti a discutere con la controparte, seduto al tavolo con un governo forte.
Sul fronte politico, gli urnoscettici sono molti. C’è parte di Pdl che teme il fattore palazzo Madama. Le elezioni anticipate farebbero chiarezza, punirebbero i finiani e direbbero «vittoria». Ma c’è sempre il rischio che con questa legge elettorale il Senato sia traballante e soprattutto che s’ingrossi a dismisura il partito dell’astensione. Ecco spiegata l’apertura a Fini del Guardasigilli Alfano: «Se non si chiedesse più al premier di fare un passo indietro... Compartecipazione piena all’esecutivo. I governi del “sì, ma” o del “sì, però” sarebbero tuttavia destinati alla sconfitta». Mano tesa che non è piaciuta al sottosegretario Santanchè: «Non condivido chi continua a fare proposte e offerte al Fli. Basta: il tempo è scaduto. Il 14 o fiducia o voto». Ottimista sull’esito delle urne lo stesso Cavaliere che ha ripetuto: «Voglio una maggioranza forte in Parlamento, altrimenti sarà voto».
Delle elezioni ha il terrore Fini per molteplici motivi. Il partito non è ancora pronto, servirebbero mesi di rodaggio e adesso sta subendo pure qualche defezione. Ma le urne scoperchierebbero soprattutto la spaccatura interna tra l’anima destrorsa e moderata (Menia, Moffa, Viespoli, Lamorte, Patarino) e quella berluscofobica e radicale (Fini, Granata, Briguglio, Bocchino, Barbareschi). In più, con l’assenza della stampella-Napolitano che sarebbe mal disposto a benedire un governo tecnico, per il Fli si prospetta un nuovo ghetto ma questa volta in un fantomatico terzo polo. Sconfitta piena, insomma.
Altolà al voto anche da parte dell’Udc che inizia a temere che il berlusconismo non sia affatto finito. Dubbio amletico: non sarebbe meglio stringere un’alleanza con il Cavaliere tutt’altro che disarcionato? Molti centristi spingono il leader in questo senso anche in virtù del fatto che Pdl e Udc già convivono benissimo nella casa comune del Ppe. E poi qualcuno comincia a temere un eventuale terzo polo assieme a Fini, Rutelli e un eventuale outsider alla Montezemolo perché non è chiaro chi dei quattro sia disposto a fare l’ombra del leader.
Per il Pd, poi, il giudizio degli elettori sarebbe una mezza catastrofe. I sintomi di un’ulteriore emorragia ci sono tutti: Bersani rischia di perdere consensi a sinistra a tutto vantaggio di grillini, Di Pietro ma soprattutto Vendola; e pure a destra a vantaggio del neo progressista Fini. Anche per il Pd valgono le medesime delusioni dei futuristi riguardo ai segnali di scetticismo sul governo tecnico che arrivano dal Quirinale.
E poi c’è la Lega, misteriosa e tattica, che attraverso il suo leader Bossi continua a mandare messaggi muscolari sul voto.

Il richiamo alle urne serve a mostrare che il patto con il Pdl è duro come l’acciaio e toglie ogni alibi al Quirinale per ogni eventuale tentazione di governo tecnico. Che il Carroccio sia il partito che dal voto ha meno da perdere è pacifico. Tuttavia il faro resta uno solo: andare avanti con le riforme ma soprattutto con i decreti delegati sul federalismo.

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