Tutti i no del prefetto Ferrante al Comune

Tra le crisi insolute, quella di via Triboniano, occupata da 300 rom con problemi di criminalità

Tutti i no del prefetto Ferrante al Comune

Gianandrea Zagato

«La percezione dell’insicurezza si contrasta con quartieri più illuminati e più puliti». Ricetta di Bruno Ferrante, aspirante sindaco del centrosinistra, che sul tema «sicurezza» da ex prefetto non ha brillato certo per operatività e decisionismo. Restano tanti nodi irrisolti, quindi, nonostante da inquilino della prefettura abbia avuto tempo e modo per affrontare quelle «delicate questioni» che Palazzo Marino puntualmente segnalava.
Memoria si ritrova all’assessorato alla Sicurezza, dove sono archiviate non solo centinaia di lettere inviato al «Signor Prefetto» su ogni problema - testimonianza dei rapporti sempre improntati alla massima correttezza istituzionale - ma anche quelle pochissime risposte firmate «dott. Bruno Ferrante» che filtravano da Palazzo Diotti. Documentazione di un rapporto scandito, dal 2002 al 2005, anche attraverso interminabili riunioni del comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza.
Caso emblematico è il quartiere Giambellino, dove esiste «un fenomeno di disordine urbano che preoccupa l’amministrazione civica»: è il 17 settembre 2002 quando viene sollecitata una riunione ad hoc. Il 19 aprile 2005 dall’assessorato alla Sicurezza si ritrasmettono all’allora rappresentante dello Stato «copia» non solo delle cronache che la stampa ha dedicato al caso Giambellino per «trentadue mesi» ma nero su bianco si parla di «vera e propria emergenza». Risultato: zero sino al 7 novembre 2005 quando l’assessorato alla Sicurezza si rivolge direttamente al «Signor Questore» per chiedere un intervento, dopo che i residenti del civico 181 di via Lorenteggio, scala H, mostrano le foto di occupazioni illegali e di minori rom lasciati incustoditi. Ma nel lungo catalogo delle cose insolute c’è anche via Triboniano, quell’area alle spalle del cimitero Maggiore, che nel 2001 viene occupata da «trecento nomadi rumeni e bosniaci» e affidata in gestione «all’Opera nomadi». Che, rimarca l’assessorato alla Sicurezza, «non riesce a contrastare altri insediamento di abusivi e irregolari».
Ma la richiesta al prefetto Ferrante di «allontanare tutti gli abusivi» per permettere al Comune di iniziare «i lavori di sistemazione del campo per cui la Giunta ha stanziato un milione di euro» resta lettera morta. Nessun intervento. Per iniziare i lavori di sistemazione, nel gennaio 2005, il Comune è stato costretto a ricorrere ad una variante, dettaglio che effettivamente ha poi permesso alla ditta appaltatrice di «svolgere la bonifica dell’area seppure a fasi».
E la fotografia della sicurezza che l’aspirante sindaco del centrosinistra non ha saputo garantire continua con la vicenda dello stabile al civico 19 di via Cicco Simonetta, occupato abusivamente da parte di trecento egiziani, valutato punta dell’iceberg di quelle 130 aree private e pubbliche - spalmate sulle nove zone di Milano - che, sotto la prefettura Ferrante, sono divenuti fortini dell’illegalità. Seguono i tredici centri sociali, di cui solo uno con regolare permesso, il degrado attorno alla Stazione Centrale, l’abusivismo commerciale e il disturbo della quiete pubblica a Brera ma pure lo spostamento della moschea di viale Jenner, richiesto lo scorso ottobre all’ex prefetto. La risposta? Solo verbale e solo la disponibilità a un tavolo prefettizio per affrontare l’argomento.
C’è comunque almeno un problema risolto: lo sgombero di via Adda, quella polveriera che sorgeva a nemmeno cento metri da piazza Repubblica. Sgombero «portato a termine» il primo aprile 2004 e senza nessun incidente. L’occupazione è durata più di un anno e affrontata con notevole ritardo, solo quando divenne un caso nazionale.

Anche di questo c’è traccia negli archivi dell’assessorato alla Sicurezza, con l’aggiunta di un ritaglio stampa dell’11 novembre 2005 dove i magistrati raccontano che dentro quella casa vivevano i capi di una gang dediti alla tratta di bimbi schiavi. Ma di questo Ferrante non sa niente. Sette giorni prima, lui, ha messo a segno la sua metamorfosi.

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