«Siamo tutti berlinesi» si diceva - altri tempi - davanti al muro e al Checkpoint Charlie, sullonda dellemozione per l«Ich bin berliner» di John Kennedy. Poi è venuto l11 Settembre, e il suo «Siamo tutti americani». Ora, invece, fuori tempo e fuori luogo, viene la sinistra di lotta e di governo a dirci, anzi a ripeterci: «Siamo tutti liguri», con enfasi inversamente proporzionale alla qualità del messaggio. Ma non scatta lemozione, quanto il senso del ridicolo, visto che si tratta della professione di liguricità, se non proprio di genovesità, da parte di tali Ugo Intini, viceministro socialista, Fabio Mussi, neoministro diessino, e Giorgio Calò, sottosegretario con tessera di Italia dei valori: tutti eletti al parlamento con i voti dei liguri e pronti immediatamente a professare la voglia di rappresentanza degli interessi della regione che li ha spediti nella capitale. Qualche dubbio è lecito, sulla capacità - lasciamo stare la volontà - di mantenere la promessa. A cominciare da Intini, eletto cinque anni fa nel collegio del ponente genovese, e mai più visto né sentito da allora nellarco di territorio che va da Ventimiglia a La Spezia.
Ci vuole davvero qualcosa di più della buona volontà (o dellingenuità) per credere alle più recenti dichiarazioni dellex delfino di Bettino Craxi ed ex direttore dellAvanti, tipo: difenderò gli interessi della Liguria, mi batterò per lo sviluppo della regione. Poi si è voltato verso Alfonso Pecoraro Scanio, ministro dellAmbiente, e gli ha parlato del Terzo valico. Per affossarlo definitivamente. Si dichiara ormai ligure doc - neanche a dirlo - Mussi, titolare del dicastero dellUniversità. Replica Franco Orsi, Forza Italia: «Ci vogliono mettere in quota anche lui, ma in effetti la rappresentanza ligure nella squadra di Romano Prodi è praticamente nulla». Né può darsela tanto da ligure Giorgio Calò, che pure Carmen Patrizia Muratore, capogruppo dei dipietristi in via Fieschi, lancia con palese acrobazia dialettica come «punto di riferimento per la Regione e del Paese».
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