Tutti quelli che urlano al "regime" ma sono stipendiati dal Cavaliere

Molti attori e scrittori firmano l’appello di Repubblica: "La democrazia è in pericolo". Intanto devono il loro successo alle aziende di Berlusconi. E così fanno da esempio: altro che dittatore, Silvio piuttosto è un autentico mecenate

Tutti quelli che urlano al "regime" ma sono stipendiati dal Cavaliere

Immaginate che i più feroci e fieri oppositori del fascismo fossero stati al contempo gli intellettuali più vezzeggiati e pagati dallo stesso regime. Immaginate, per esempio, che i contestatori del Duce non fossero stati messi al confino, su qualche remota isola, in galera o costretti all’esilio, in Francia e Svizzera, ma mantenuti pubblicamente dal Minculpop e omaggiati con importanti collaborazioni alle riviste del partito. Immaginate Gramsci non in carcere, ma editorialista di punta di Primato. La cosa sarebbe sembrata quantomeno bizzarra.
Un po’ quello che, si parva licet... , succede oggi. Suona infatti strano che alcuni tra gli scrittori e uomini di spettacolo (Saviano, Giordano, Augias, Lucarelli, Bisio, Aldo, Giovanni e Giacomo... ) che hanno firmato l’appello di Repubblica contro Berlusconi e in difesa della libertà di stampa e di pensiero siano in realtà pagati o lautamente pagati dalle aziende proprio di Berlusconi.
Il paragone tra oggi e il Ventennio potrebbe sembrare azzardato. Ma non lo è, perché i toni usati dagli estensori dell’appello - tre esimi giuristi come Franco Cordero, Stefano Rodotà, Gustavo Zagrebelsky - dopo la decisione del presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, di denunciare Repubblica sono definitivi.
Nell’appello si spiega che sarebbe in essere «un tentativo di ridurre al silenzio la libera stampa, di anestetizzare l’opinione pubblica, di isolarci dalla circolazione internazionale delle informazioni, in definitiva di fare del nostro Paese un’eccezione della democrazia». Aggiungendo poi un esplicito richiamo alla degenerazione dell’informazione sotto i regimi illiberali e antidemocratici del secolo scorso.
Proviamo dunque a riflettere per trarne le conseguenze logiche. Partiamo dall’assunto di Repubblica. Oggi, vivremmo in una sorta di secondo fascismo videocratico nel quale al posto del manganello si usa la televisione e si tenta di silenziare la stampa nemica per mezzo della magistratura. Al che, trovare in calce la firma per esempio di Roberto Saviano e di Paolo Giordano o di Claudio Bisio fa un certo effetto. Saviano è lo scrittore di punta di Mondadori, Giordano l’enfant prodige di Segrate. Il primo è stato tradotto in tutto il mondo e ha venduto milioni di copie, il secondo è stato il caso editoriale della scorsa stagione. Bisio è, tanto per dire, uno dei volti più noti di Canale 5. Tutti e tre, in misure diverse, stimiamo stando ai normali valori di mercato di editoria e televisione, hanno spuntato contratti favolosi e per la loro bravura di vendere libri o attirare spettatori incassato stipendi milionari. Grazie a loro Mondadori e Mediaset hanno avuto introiti che di quegli stipendi sono multipli, e grazie anche a loro sono di fatto la casa editrice e la televisione più importanti d’Italia. Grazie anche a loro, Berlusconi è ricco e potente.
Fin qui il ragionamento non fa una piega. Facciamo un ulteriore passo. Sbagliano Mondadori e Canale5 a contrattualizzarli? No, non fanno male. E contrariamente a quello che ho scritto in passato, credo che questa sia la riprova, non tanto che Mondadori e Mediaset sono culturalmente succubi dell’egemonia di sinistra, quanto che esse sono un esempio di cultura liberale e del prevalere degli interessi di mercato rispetto alle ideologie. Essendo la cultura un prodotto (anche se questo pensiero è checché se ne dica frutto bacato del marxismo) allora non importa il colore, basta che si venda.
Facciamone un altro. Si potrebbe allora dedurre che Saviano, Giordano e Bisio, pecchino di incoerenza. Prendono soldi e fama da chi poi criticano, odiano, dileggiano, e che dunque per coerenza dovrebbero scrivere e televisionare altrove. D’altronde, nonostante i toni apodittici di Repubblica, in Italia esiste ancora la democrazia e mezzi di informazione non ascrivibili al regime. Saviano, Giordano e Bisio potrebbero benissimo, se lo volessero, lavorare per altri gruppi ugualmente importanti e dello stesso livello, Rizzoli per esempio o Sky. Ma non vogliamo dire neppure questo. In modo limpido i tre potrebbero obiettare che proprio la libertà e la democrazia permettono loro di lavorare e criticare il datore di lavoro. Arricchirsi a spese del «dittatore» e farlo ricco. Addirittura, come spiegava Pasolini, potrebbero giustamente replicare che il mondo è questo, e che l’intellettuale migliore smonta il potere dall’interno. E noi in parte siamo d’accordo. È giusto che Saviano, Giordano e Bisio si arricchiscano e di fatto abbiano un potere e un autorevolezza nel mondo della cultura e massmediatico e che con loro cresca la ricchezza di Berlusconi e il suo potere. Anzi questo dimostra che siamo in democrazia, c’è piena libertà, Berlusconi è insomma un mecenate.
Ma se così non fosse, e per un attimo dessimo credito all’assunto di Repubblica, cioè che in Italia c’è un pericolo di slittamento verso un regime illiberale e che Berlusconi è di fatto una sorta di dittatore, allora dall’assioma principale procederebbe un ragionamento, pur sempre logico, ma diverso. Saviano, Giordano e Bisio sono fiancheggiatori del regime, di fatto collaborazionisti come i grandi Céline e Drieu La Rochelle, ovvero intellettuali che di facciata si dicono contro il regime ma che di fatto ne potenziano il potere. Anzi potrebbero persino essere scambiati per spie di Berlusconi. Ancora si mormora dei tanti pensatori che nel Ventennio si professavano comunisti pur essendo al soldo dell’Ovra. Se davvero sono convinti di quanto firmano, Saviano, Giordano e Bisio - lo ripetiamo - potrebbero stare, con un po’ di coraggio e senza troppi disagi, al confino di Rizzoli o in esilio a Sky.
Cercando di chiudere il sillogismo senza salti logici, possiamo dire applicando il principio di non contraddizione: la firma di Saviano, Giordano, Bisio in calce all’appello di Repubblica dimostra che Berlusconi è un liberale; l’appello di Repubblica è inficiato proprio dalla firma di Saviano, Giordano e Bisio che in virtù della loro coerenza e libertà (lavorare al soldo di chi criticano) dimostrano l’assenza di regime e la libertà di pensiero. Oppure che essi sono dei fiancheggiatori. Tertium non datur. Altre deduzioni logiche non sembrano esserci. Ed è per questo che Cordero, Rodotà, Zagrebelsky, se convinti veramente del loro assioma, avrebbero dovuto sdegnosamente non accettare la firma di Saviano, Giordano e Bisio. Non credo che Gramsci avrebbe accettato il sostegno di Pavolini, Togliatti quello di Bottai.


In appendice mi piacerebbe chiedere a Cordero, Rodotà, Zagrebelsky, al di là dell’opportunità politica, come Berlusconi possa difendere la propria immagine e se appellarsi a un tribunale sia un atto illiberale e di intimidazione. Un antico brocardo insegna che «qui iure suo utitur neminem laedit».

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