Cultura e Spettacoli

Tutto cominciò con Renato Sellani

Se si eccettua la musica classica che è colma di opere stupende per pianoforte solo, nelle musiche «altre» la quantità e la qualità di quest’aurea prassi sono molto inferiori. Al contrario, il jazz si sta allineando con la grande musica europea, ma si è avveduto in ritardo delle enormi possibilità espressive del pianoforte senza accompagnamento. Si può imputare questa lentezza alla pretesa del suo pubblico di percepire, netta e distinta, la base ritmica del contrabbasso e della batteria, di preferenza come sostegno isocrono in quattro quarti o perlomeno - in epoca più recente - come supporto dialogico. Per restringere l’ottica all’Italia, va ricordata la gratitudine che Lennie Tristano dichiarò a chi nel 1965 organizzò per lui il primo concerto di pianoforte solo della sua vita. «In America - spiegò agli interlocutori meravigliati - nessuno ancora ne vuole sentir parlare».
L’episodio fu percepito come un esempio da seguire. Il primo fu Renato Sellani, che nel 1968 inaugurò il catalogo della Dire con un memorabile lp in solo. A distanza, prima nei concerti e poi nei dischi, giungono gli altri, sempre più sicuri di sé e persuasi che per un pianista di jazz la performance solitaria sia un punto d’arrivo. Fra i migliori si notano l’lp Nuvolao di Franco D’Andrea per Carosello (1978) e quindi - senza pretendere di seguire un preciso ordine cronologico - le imprese di Gaetano Liguori, Enrico Pieranunzi, Antonello Salis, Rita Marcotulli, Stefano Battaglia, Danilo Rea, Dado Moroni, Cesare Picco, Salvatore Bonafede.
Oggi ci troviamo in uno dei momenti di vertice di questa ascesa. Ieri - e ancora adesso - tutto il mondo della musica afro-americana ci invidiava Enrico Pieranunzi. Oggi l’astro italiano più brillante è il trentenne Stefano Bollani, pianista onnivoro che nella tecnica perfetta e nel linguaggio poliedrico (si ascolti almeno il suo album più bello e maturo, Piano Solo per Ecm) sintetizza una straordinaria esperienza a 360 gradi. Ma altri giovani si sono già affermati (Antonio Zambrini e Rossano Sportiello, l’unico virtuoso che suoni in stile mainstream) o battono alle porte come Angelo Comisso, Paolo Alderighi e Giovanni Guidi.

Si affermeranno facilmente se i nostri festival cesseranno di favorire sempre gli stessi nomi.

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