La tv è morta, viva la tv Parola di Dago

E siste una televisione dopo la televisione? A sentire Roberto D'Agostino sembrerebbe proprio di sì. Dopo essere stato tra gli interpreti di una tv postmoderna, quando negli anni '80 parlava di edonismo reaganiano e citava Milan Kundera nel cuore della notte; e dopo aver sovvertito le regole del giornalismo inventandosi Dagospia, oggi torna al vecchio amore del piccolo schermo con tre puntate flash sulla contemporaneità, Dago in the Sky, trasmesse proprio sul canale tematico Sky Arte. Meno di mezz'ora a ritmo battente: fil rouge, il selfie, internet e la pornografia. Nella concezione di D'Agostino la tv non esiste più, così come sono spariti l'arte, il cinema, la moda, ovvero le maggiori espressioni visive del XX secolo. Non c'è più bisogno di andare in giro per il mondo con la camera in mano, sognando di trasformarci in telereporter dell'anima: basta uno smartphone e un collegamento con la rete, dove sono immagazzinati milioni di immagini pronte all'uso. Il vecchio schermo si è così parcellizzato, frantumato, diviso in infiniti multipli che restituiscono infine la molteplicità, la velocità, qualcosa da fissare per pochi secondi appena per poi passare oltre.

Se la prima rivoluzione avvenne nel 1455 con l'invenzione della stampa, la seconda, di ancor più vasta portata, è peraltro vicina a noi: nel 1989, l'anno in cui cadde il Muro di Berlino e la Cina fu scossa dai fatti di Tienanmen, un informatico inglese, Tim Berners-Lee, presentò al Cern di Ginevra un progetto globale sull'ipertesto e con il World Wide Web si aprì l'era di internet. Questo, più di altro, ha cambiato le nostre vite: mai nessuna generazione ha avuto per le mani uno strumento così innovativo, la cui potenzialità è ancora sfruttata in termini infinitesimali. Eppure, ci dice Dago, si è verificato il seguente paradosso: per una piattaforma inedita, i contenuti che ci passano sono vecchi. Tutto ha un sapore vintage, irrimediabilmente legato al passato: le mostre d'arte sono sempre le stesse, le collezioni degli stilisti non fanno che rimestare citazioni dai decenni precedenti, del cinema non attira più l'aspetto di condivisione sociale, l'esperienza del grande schermo, ma l'immagine compressa su supporti molto più piccoli dove si vede tutto ma in maniera diversa.

E la tv? Morta e sepolta l'era generalista, a parte forse qualche evento sportivo in diretta, anch'essa vive in un tempo differito. Stiamo giungendo alla formula di una nuova estetica, questa sì davvero nuova, per cui ognuno può costruirsi la propria programmazione annullando tempi morti e vincoli d'orario. Tutto il materiale visivo utilizzato in Dago in the Sky proviene da internet, nessuna ripresa è originale poiché, come fu già ai tempi della Pop Art, ogni cosa è già qui, nell'immenso archivio dati subito disponibile.

Una trasmissione piccola ma preziosa, che esalta il web ma dice di non rassegnarci all'abuso del già visto incitandoci a produrre qualcosa di nuovo: una diversa corrente d'arte che manca da un ventennio, rovesciare l'equilibrio di un abito, girare magari un film di 24 ore come già fece Christian Marclay in The Clock. Siamo in piena rivoluzione, questi non sono che i primi effetti.

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