GF, Giulio Carotenuto: "Tornato a casa, ho indossato un camice e curato un paziente"

L’ex gieffino rivela: “Meglio essere frainteso che fingere”. Poi, commenta i suoi ex compagni di gioco

GF, Giulio Carotenuto: "Tornato a casa, ho indossato un camice e curato un paziente"

Giulio Carotenuto è stato uno dei protagonisti dell’attuale edizione di Grande Fratello, reality show di Canale 5 condotto da Simona Ventura. Nonostante la sua permanenza nella Casa sia stata breve, il giovane concorrente ha saputo farsi notare per la sua autenticità, il carattere deciso e la capacità di instaurare legami sinceri con gli altri inquilini. Oggi, in esclusiva ai nostri microfoni, Giulio Carotenuto si racconta, ripercorrendo la sua esperienza nel reality e commentando con schiettezza e ironia le dinamiche che stanno animando i gieffini ancora in gioco.

Ha partecipato all’attuale edizione di Grande Fratello: cosa ha significato per lei varcare la porta rossa?

«È stato un atto di coraggio. Ho voluto mettermi in gioco non come medico o volontario, ma come uomo. Entrare nella Casa è stato come attraversare una porta simbolica: lasci fuori i ruoli, le certezze, e ti ritrovi nudo davanti a te stesso e agli altri».

Tuttavia, è stato il primo eliminato. Se l’aspettava?

«Sinceramente no, ma L’ho accettato con serenità. In un contesto come quello, spesso il tempo non basta per far emergere tutto ciò che si è. Però, chi mi ha seguito ha percepito la mia verità, e questo per me vale più di qualsiasi televoto».

Crede di aver mostrato sé stesso in toto al pubblico o, se ne avesse la possibilità, vivrebbe in maniera diversa quei giorni trascorsi in Casa?

«Rifarei tutto. Sono stato istintivo, diretto e non ho mai cercato di compiacere. Forse sorriderei di più, ma senza snaturarmi. Credo che la vera forza sia restare sé stessi anche quando non conviene. Mi hanno definito “viscido”, ma chi mi conosce sa che è un aggettivo che non mi descrive. Io sono una persona che ama scherzare con tutti, mettere leggerezza dove c’è tensione, creare ponti, non confusione. In un contesto come quello, dove ogni gesto viene ingigantito, la spontaneità a volte viene scambiata per strategia. Ma se c’è una cosa che non ho mai fatto, è calcolare. Non ho mai usato nessuno, né mai pensato di farlo. Parlavo con tutti, ridevo con tutti e, per alcuni, questo è bastato per etichettarmi. La verità è che in un gioco dove tanti recitano, chi resta sé stesso viene frainteso come stratega. Ma preferisco mille volte essere frainteso che fingere. Alla fine, sono uscito dopo pochi giorni, quindi la mia strategia, se davvero c’era, non dev’essere stata poi così geniale…».

In Casa ha costruito legami autentici: con chi ha sentito il legame più forte?

«Le dinamiche della Casa amplificano tutto: gioie, fragilità, emozioni. Con Benedetta, le circostanze felici dell’ingresso e due caratteri molto simili ci hanno avvicinato tanto. È nata una bella complicità, ma quando ho capito che non poteva esserci altro che amicizia, ho preferito fermarmi. Con Grazia, invece, si è creata una connessione diversa: più profonda, meno evidente, ma molto vera. Lei ha scelto di confidarmi una parte dolorosa della sua vita, in quel momento ho sentito forte il bisogno di proteggerla, non come uomo, ma come essere umano. Credo che la fiducia sia una forma d’amore puro, e in quella Casa — dove tutto è esposto — il mio istinto è stato quello di difendere la sua fragilità, non di approfittarne».

Giorni fa si è verificata una lite molto accesa tra Jonas e Omer, terminata almeno apparentemente con un “segno di pace”. Tregua che durerà?

«Credo e spero di sì. Colgo anche l’occasione per scusarmi se in quei momenti ho usato parole dure: non nascevano dalla rabbia, bensì da emozioni più profonde. Alcuni atteggiamenti mi hanno riportato alla mente ferite che pensavo sanate, legate a episodi di bullismo vissuti in passato. So che qualcuno ha detto che ho strumentalizzato quella parola, ma chi ha vissuto davvero certe dinamiche sa che non c’è nulla da strumentalizzare. Non è mai un argomento “da gioco” per me. È una parte della mia storia e citarla non è vittimismo: è riconoscere che anche dietro un sorriso o un camice possono nascondersi cicatrici. Parlarne, per me, significa normalizzare la vulnerabilità, non usarla».

Tornando a lei, quando è tornato a casa qual è stata la prima cosa che ha fatto?

«Ho abbracciato mia madre. Poi, sono andato in studio, ho indossato il camice e ho curato un paziente.

Mi ha fatto bene tornare alle mie radici, alla mia normalità. È lì che ritrovo equilibrio e senso».

L’ha attesa qualche sorpresa?

«Sì, l’affetto inaspettato delle persone. Nonostante la mia uscita precoce, ho ricevuto centinaia di messaggi pieni di calore. È stata la conferma che la sincerità arriva, sempre».

Oggi a cosa lavora?

«Porto avanti la mia attività da odontoiatra e i progetti della mia organizzazione, l’Aisha Foundation ODV, con cui realizziamo missioni sanitarie in Africa. Ma sto anche lavorando a nuove idee per unire divulgazione, empatia e intrattenimento. Credo che la TV e i social possano essere strumenti di bene, se usati con consapevolezza».

Ci parla di un suo sogno?

«Mi piacerebbe raccontare il sorriso nel mondo, viaggiando tra popoli e culture diverse per scoprire cosa lo fa

nascere in ciascuno di noi. È un sogno che unisce la mia professione, il mio lato più umano e la mia curiosità verso la diversità e le storie delle persone. Perché ogni sorriso racconta una vita, e ogni vita insegna qualcosa».

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