"La lunga notte" del Duce è una fiction

Tre puntate su Raiuno, prodotte da Barbareschi, narrano la caduta del fascismo

"La lunga notte" del Duce è una fiction
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Fu la notte che cambiò i destini d’Italia, quella fra il 24 e il 25 luglio 1943. E La lunga notte (sottotitolo «La caduta del fascismo») prodotto da Luca Barbareschi con Rai Fiction, e su Raiuno il 29, 30 e 31 gennaio, prova a dipanarne il grande potenziale drammatico percorrendo le tre settimane che la precedettero, e la riunione del Gran Consiglio del fascismo che ne fu l’apice. «È una storia necessaria da raccontare – osserva Barbareschi - per fare i conti col passato. Altrimenti non cresceremo mai come Paese».

Alessio Boni nei panni di Dino Grandi, autore dell’ordine del giorno che provocherà la caduta del Duce (qui col volto di Duccio Camerini), racconta: «Quella di Grandi è una storia scivolosa: si rischiava di farne un eroe involontario. Trovo molto interessante che Mussolini sia l’unico dittatore destituito grazie ad un voto. E al voto di un’assemblea che fu lui stesso ad indire. Una cosa mai accaduta altrove». Seguendo intrighi, passioni e debolezze di personaggi come Maria Josè di Savoia (Aurora Ruffino), Claretta Petacci (Martina Stella) e re Vittorio Emanuele III (Luigi Diberti) la serie «rispetta la storia quasi alla lettera – assicura il consulente Pasquale Chessa - nonostante di quella seduta del Gran Consiglio manchi perfino un verbale, e presenta poche licenze poetiche, come l’invenzione di un amore giovanile fra la nipote di Grandi e un futuro partigiano, necessaria però per dare voce dell’umore della gente comune».

Dietro questa serie, diretta da Giacomo Campiotti, «non c’è alcun intento nostalgico - garantisce Maria Pia Ammirati, presidente di Rai Fiction - ma un’analisi dei fatti che diventa drammaturgia. E con una cadenza appassionante, quasi da thriller». Cosa significhi per un attore interpretare Mussolini lo racconta Duccio Camerini: «In fondo Mussolini stesso era un attore. E non sempre un buon attore.

Molto capace nel comunicare; talvolta molto esagerato. Non volevo farne un’imitazione: ho cercato di renderne anche la fragilità, l’aura quasi shakespeariana della sua rovina, il suo smarrimento anche dentro le sue violenze».

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