È risaputo che prediligo le cause difficili e le pareti dialettiche impervie. Ma questa non mi sembra delle più rischiose, anche se determinerà prevedibili indignazioni. La lettura, sui quotidiani di questi giorni, delle premurose e inevitabili dichiarazioni sulla vicenda di Roberto Saviano, l’autore di Gomorra, mi ha incuriosito e insospettito. Concordi tutti, e tutti pronti a offrire solidarietà e consigli. Da Bocca a Veneziani, da Napolitano a Berlusconi, da Fassino ad Alemanno. Quest'ultimo, sostituendosi a sindaci più vicini e più distratti, ha offerto a Saviano la cittadinanza onoraria di Roma. Fassino, altrimenti distratto, esclama con gravità: «Non lasciare solo Saviano è un dovere morale e civile». Mai visto uno meno solo. È con lui persino il magistrato Woodcock che, nelle sue indagini, alla mafia ha preferito Fabrizio Corona e Flavia Vento. In compenso Berlusconi vuole garantire a Saviano il diritto a non avere paura, la tutela più completa della sua incolumità». E aggiunge: «Su questo prendiamo assoluto impegno». Non abbiamo ragione di dubitarne. Mi sembra una buona garanzia. Anche se Rushdie, evocato da Michele Serra con il disappunto di Veneziani, è a conoscenza che «l’Fbi riteneva Saviano in pericolo perché proprio negli Stati Uniti c’è la mafia». Saviano, frattanto, anche esortato dalla sorella di Falcone, medita proprio di lasciare l'Italia. Non con questo, dunque, si salverebbe. E infatti, in Germania, dove l’anno scorso la ’ndrangheta fece una strage uccidendo sei persone in un ristorante italiano, hanno predisposto misure straordinarie di sicurezza per l’arrivo di Saviano a Francoforte. Opportune ma forse inutili, dopo la minaccia annunciata. Proprio per questo, ha ragione Maroni: ogni poliziotto anonimo, in servizio dove la mafia, la camorra e la ’ndrangheta possono agire, è in pericolo come Saviano. Anzi, è in pericolo perché rappresenta lo Stato. Ognuno dice la sua e firma appelli in favore di Saviano, dandogli più forza e più tutela di quante non abbiano le forze dell’ordine e i magistrati.
Ma quale è, dunque, il rischio vero e quali sono le minacce? Quelle denunciate da un medico che, senza esplicitare la fonte (riconosciuta nel suo assistito, il pentito Carmine Schiavone), ha parlato di un progetto stragista nei confronti di Saviano pronto a scattare «entro Natale». Il pentito, interrogato dai pm Roberti e Ardituro, nega risolutamente di aver mai fatto una tale rivelazione o confidenza. E il solo commento laico, a questa scoperta di una tempesta mediatica in un bicchier d'acqua, è di Luigi Mascheroni, che non nega la sua solidarietà allo scrittore coraggioso, pur osservando che tutto questo affanno nato da «una falsa notizia», e che se il pentito era considerato altamente attendibile quando avrebbe rivelato, a fonte non altrettanto affidabile, la minaccia di attentato, «a rigor di logica dovrebbe rimanere attendibile anche ora che la nega» direttamente ai pubblici ministeri.
E non c’è traccia neppure, secondo i magistrati (lo ammette la stessa Repubblica), del fax, annunciato a Matrix (sempre perché lo spettacolo e l'ascolto siano garantiti) che Francesco Schiavone, detto Sandokan, detenuto in regime di carcere duro, avrebbe inviato l’11 settembre dal carcere di Opera, intimando al «grande romanziere» (lusinghiera considerazione) di «smettere di fare affermazioni calunniose» su di lui, con l’ancor più ampio risalto mediatico, e dando mandato ai suoi avvocati di querelare per calunnia e diffamazione Saviano che lo ha paragonato al terrorista Arkan. È un suo diritto, nonostante i tendenziosi titoli enfatici di Repubblica («Mi insulta e ora deve tacere») che accrescono il potere di Sandokan, e non mi pare una minaccia.
Ora, dove voglio arrivare? Ad affermare che tutto questo rumore ha dimostrato che Saviano non è solo e ha accresciuto l'attenzione intorno a lui. E la camorra avrebbe ottenuto soltanto il risultato di potenziarne l'immagine, accrescendo emotivamente l'indignazione popolare. Cui prodest? La camorra non cerca consenso e la disapprovazione di cui gode è la stessa che le viene dai libri di Saviano, come di tanti bravi giornalisti antimafia. Ma la camorra non ha paura delle parole, bensì delle azioni dei magistrati, degli ergastoli e delle leggi che ne hanno stroncato le attività criminose. E, come non teme le parole, non le usa: non annuncia di uccidere Saviano, lo uccide. Rischio che da oggi, e anche da prima, Saviano non corre. Ora tutti si sono stretti a lui, con sincera preoccupazione. Ma dovremo, per difenderlo, inviare l'esercito?
La mafia non si cura degli scrittori e non li legge. Non cerca né amici né consenso. Non hanno corso il pericolo di essere uccisi Sciascia, D'Avanzo, Camilleri. Non lo corre Travaglio, né Feltri, né La Licata, né Bolzoni, né Lodato, giornalisti e scrittori non meno coraggiosi di lui. E che non sono mai stati accomodanti nelle loro inchieste-denuncia.
Per quale forma di autolesionismo la camorra dovrebbe eliminare Saviano? Per seguire la strada scellerata e suicida della mafia siciliana con le stragi di Falcone e Borsellino? L'inchiesta dei magistrati rivelerà, con buona pace di Veneziani e di Bocca, che siamo in presenza di un evidente depistaggio. Al punto che, per essere coerente, propongo alla camorra uno scambio: lasciate perdere Saviano; ormai l'obbiettivo è mancato; non fatelo andare all'estero, non fate scomodare, come uomini di scorta, Napolitano e Berlusconi anziani e inermi.
Prendete me, uccidete me, che non ho scorta e sto a Salemi; e sfido ogni giorno la mafia, ostinandomi a negarla, a ignorarla, a insultarla.
Perché lo Stato è più forte della mafia. E anche Saviano lo sa.
Vittorio Sgarbi
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