Una madre ha tutto il diritto di tampinare il proprio figlio, di chiedergli soldi, di cercare di scoprire dove abita, di mandargli sms, di telefonargli: anche se si tratta di una madre tutta particolare, appena uscita dal carcere dopo avere scontato una condanna per omicidio. Il Tar della Lombardia ha infatti annullato, con una sentenza depositata nei giorni scorsi, lammonimento che il questore di Pavia aveva inflitto a Letizia Natale, già assessore al Bilancio del Comune di Vigevano, che nel 2003 investì e ammazzò il proprio padre. Da quando è uscita dal carcere, la Natale ha iniziato a tormentare il proprio figlio che - comprensibilmente - pare non abbia più nessuna voglia di vederla. Il figlio si è rivolto alle forze dellordine, e ha ottenuto che il questore ordinasse a sua madre di lasciarlo in pace. Ma la donna ha presentato ricorso al Tar, e si è vista dare ragione.
Nel 2003, il parricidio commesso da Letizia Natale aveva scosso la zona di Vigevano, dove la donna era abbastanza conosciuta sia per il suo impegno politico nella Lega Nord per la sua attività di commercialista. Era considerata una donna tranquilla e «normale». Ma - probabilmente attratta da un eredità in arrivo dallAmerica e assillata dallidea che lanziano padre puntasse ad escluderla dalla successione - la mattina del 12 maggio noleggiò una Nissan e investì deliberatamente il padre Augusto, passandogli ripetutamente sul corpo: «Le gridavamo ferma, attenta, ma lei sembrava in trance». A casa sua, dopo il delitto, vennero trovati trattati di magia nera e attrezzi per riti esoterici.
Le indagini appurarono che in realtà Letizia Natale era da tempo in preda ad un forte esaurimento psichico. Le condizioni mentali contribuirono a rendere meno pesanti le conseguenze del suo gesto: si vide riconoscere la seminfermità e condannare a tredici anni in primo grado, ridotti a dieci in appello. Lindulto varato poco dopo alleggerì ulteriormente la pena. Lanno scorso la donna è tornata libera. Ma i problemi non sono conclusi. Nel mirino è finito il figlio, con cui la Natale ha iniziato in modo compulsivo a cercare un rapporto di cui il giovane non voleva più sapere nulla: tanto da spingerlo a presentare lesposto.
Ma per il Tar lammonimento emesso dal questore di Pavia è del tutto immotivato. Per accusare la donna di comportamenti di «carattere persecutorio», scrivono i giudici, «si richiede un comportamento oggettivamente minaccioso o molesto, posto in essere con condotte reiterate».
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