«In ufficio tutti amiconi ma se uno è ambizioso alla carriera non rinuncia»»

«Noi italiani siamo goliardi e camerateschi. Bisogna vedere se nella realtà poi si fanno le cose che si dicono». Gaetano Cappelli, ex dipendente Rai, ora scrittore a tempo pieno, commenta con un po’ di scetticismo il risultato dell’indagine secondo cui i lavoratori italiani ritengono più importante il fattore umano rispetto allo stipendio.
Ma lei ci crede?
«Da un lato è comprensibile perché l’ambiente in cui si lavora è sicuramente importante. Dall’altro lato però dipende dal carattere della persona: una persona molto concentrata su se stessa, piena di voglia di arrivare, non credo che sarebbe disposta a sacrificare lo stipendio».
E se fosse messo davanti a una scelta dal datore di lavoro: più soldi o andare a lavorare nell’ufficio migliore?
«Non so se poi uno alla fine trovandosi al bivio tra scegliere un ambiente idilliaco e uno stipendio più basso e avere una buona remunerazione e un ambiente pessimo trovi il coraggio di fare ciò che dichiara».
Una mancanza di decisione, insomma.
«Magari uno dichiara certe cose, ma poi, magari parlando con la moglie che gli dice: “Ma sei pazzo a non cogliere questa occasione”, cambia idea. Tutto è relativo e contingente».
Lei si è mai trovato in una situazione simile?
«Lavoravo in Rai e facevo il regista in una sede in Basilicata. Sono rimasto lì fermo nella mia posizione professionale e mi dicevano: “Ma perché non fai nulla per fare carriera?”. Per fortuna, riuscivo a sopperire scrivendo, e nello scrivere trovavo le mie gratificazioni. Poi pensavo che mi avrebbero offerto un miglioramento della mia posizione, non è stato così e me ne sono andato».
E quanto contavano per lei i rapporti interpersonali?
«Io mantenevo un basso profilo un po’ per scelta. I rapporti coi miei colleghi non continuavano fuori dagli uffici. E comunque, non avrei brindato per un aumento di stipendio a discapito dei miei colleghi».


Come ha vissuto il passaggio da dipendente a libero professionista?
«È un passaggio che ti libera da una serie di scadenze, non hai il cartellino da timbrare, non hai orari, e soprattutto non devi sperare di avere un buon datore di lavoro».

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