Ughi e i Filarmonici di Roma a Gargnano

Il celebre violinista propone un programma dal Settecento di Albinoni e Vivaldi fino al virtuosismo ottocentesco di Sarasate

Ughi e i Filarmonici di Roma a Gargnano

Piera Anna Franini

«Amo suonare nei piccoli centri perché lì un concerto è spesso vissuto come un avvenimento, a differenza di quanto può accadere in città dove le cose tendono a disperdersi. Parlavo di ciò con Prêtre e Rostropovich, anche loro sono della mia stessa opinione». La riflessione è di Uto Ughi, paradigma del violinismo italiano, stasera e domani (ore 21) nella sala Mozart di Gargnano, sul Garda. Due appuntamenti con i Filarmonici di Roma, complesso con cui Ughi collabora da anni secondo un rapporto segnato “da affinità e solidarietà di gruppo”. Il programma muove dal Settecento di Albinoni e Vivaldi – le celeberrime Quattro Stagioni – toccando il virtuosismo tardo ottocentesco di Sarasate.
Ughi è interprete a tutto tondo: di partiture musicali e del contesto storico in cui vive. In breve, un artista engagé, che si esprime senza usare mezzi termini rilasciando interviste al curaro. Il discorso da Gargnano si allarga immediatamente al malfunzionamento del sistema musicale italiano: «Il ministro Moratti non solo non ha incentivato l’educazione musicale nelle scuole, ha ucciso quel poco che c’era. Preoccupano i continui tagli alla cultura, piccole società musicali stanno morendo: e dire che si trovano i soldi per sovvenzionare di tutto, ma la cultura viene spazzata via».
Conosciamo il suo impegno nel diffondere la musica fra i giovani. Operazioni che anche i suoi colleghi forse dovrebbero alimentare con maggior fermezza...
«Sarebbe bello che in ogni città ci fossero iniziative come Omaggio a Roma... del resto quando vennero chiuse le orchestre della Rai, cuore del sinfonismo italiano, gli stessi musicisti e critici avrebbero dovuto protestare con più vigore. Se istituiamo un confronto con l’Europa notiamo la povertà numerica dei complessi italiani, anche i direttori dovrebbero sostenere di più le orchestre di casa nostra».
Direttori italiani, semmai, attratti dalla sirena di orchestre straniere?
«Spesso. Mi fa piacere che Muti abbia fondato l’Orchestra Cherubini: un complesso giovanile e italiano. Operazioni come queste dovrebbero ricorrere con maggior frequenza».
Prima parlava di problema numerico di orchestre italiane, e la qualità?
«Vi sono orchestre assolutamente di prim’ordine, penso all’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino, di Santa Cecilia e della Scala».


Sempre a proposito di italianità: se dovesse indicare i maggiori violinisti italiani delle ultime generazioni?
«Quarta e Nordio, poi vi sono ottimi violinisti però in ombra: pagano lo scotto di vivere in un Paese esterofilo che avvalora ciò che proviene dall’estero».

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