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Le ultime note a margine della vita di «big Luciano»

Mi rigiro tra le mani, non so bene perché, un ritaglio di giornale. È l’intervista che Luciano Pavarotti rilasciò a Ettore Mo del Corriere per il giorno di Ferragosto. Sopravvissuto a un cancro insidioso, il tenorissimo a un certo punto confessa: «Io non mi ascolto più. Non mi voglio sentire. Se tu mi invitassi a cena e, per farmi piacere, mettessi su una mia vecchia incisione, ti pianterei in asso, dietro front». Il Pavarotti che dice queste cose non assomiglia più al «big Luciano» appena rivisto alla Mostra di Venezia in una scena del film The Queen: imponente e corvino, mentre entra in chiesa per i funerali di Lady D. L’uomo che sostituì Di Stefano nel cuore dei melomani di tutto il mondo, che scandalizzò i puristi intrecciando duetti pop con Zucchero e Bono, che organizzò discusse maratone di beneficenza; bene, quell’uomo appare oggi sotto una luce diversa dopo il corpo a corpo con la malattia.
«Il tumore te lo senti dentro, ti lavora», sospira. A settant’anni, ricco e famoso, ma anche infragilito dagli eventi, Pavarotti consegna di sé un’immagine finalmente più tenue, senza i contrasti delle sue tinture esagerate. Anche i famosi camicioni sembrano meno sgargianti. Sarà per quella frase cruciale: «Non mi voglio più sentire».

Uno sfogo umanissimo e malinconico, anche sconcertante: di chi ha smesso di confrontarsi con la propria leggenda, per ritirarsi in un silenzio privato e casalingo che non prevede rentrée al Metropolitan. Magari solo il piacere - lui che è giunto, ritraendosi, «sul passo estremo» - di non darla vinta a Mefistofele.

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