Per l’ultimo incontro della sua vita il Professore ha voluto un finale a sorpresa. Dopo vent’anni di risse e di cazzotti, duecentonovantuno combattimenti, diciotto campioni del mondo presi a pugni, dai pesi piuma ai pesi welter, Roberto Buckley, The Professor, si è ribellato e ha fatto quello che nessuno si sarebbe mai aspettato da lui: ha vinto. Dopo 276 sconfitte, le ultime 80 delle quali consecutive. Sempre disponibile, sempre allenato, sempre pronto a tappare i buchi dei sottoclou, l’ex ragazzo di Birmingham dal viso eternamente segnato, al tappeto è andato solo otto volte. Dice: «La boxe è stata buona con me. Mi ha dato una ragione di vita, una vita dignitosa, una bella famiglia. A me che ero un fottuto sbandato».
Anche le sconfitte riscattano, se sei l’ultimo degli ultimi. Trentuno dicembre, è il giorno di chi non ce la fa, l’ultimo dell’anno, dei campioni del mondo all’incontrario, di quelli che non hanno nulla da perdere, che vanno controcorrente, che quando c’è da dare il peggio di sé, nel loro piccolo, fanno le cose in grande. È il giorno di Wim Vansevenant, uno che non ha mai guardato in faccia nessuno, sempre e solo la schiena, perché nessuno tranne lui è riuscito ad arrivare ultimo, Lanterne rouge, per tre anni di fila al Tour de France. Ha detto basta quest’anno, dopo quattordici anni e una sola vittoria, una tappa al Tour du Vaucluse del 1996, «ma entro nella storia a modo mio». Dalla scala di servizio, lontano dagli occhi di tutti, senza perdere l’amore di sé.
È la festa di Robert Dee, tre anni che perde, cinquantaquattro sconfitte consecutive, centotto set di fila, uno solo a suo favore, prima di vincere la partita sbagliata, 6-4, 6-3, con l’americano Arzhang Derakhshani, bastava perdere quella per diventare il più battuto della storia, il numero uno alla rovescia, un primato che adesso gli tocca dividere con il guatemalteco Diego Beltranena, un primato che adesso gli toccherà andare a riprendersi, batosta dopo bastosta. La sua migliore posizione nel ranking è stata la numero 1.466. Niente stimolanti, solo ritardanti.
Ultimo è una filosofia di vita, non si mescolano con la massa, odiano i mediocri, si fanno vedere poco. Non è il malinconico secondo, il frustrato quarto, l’anonimo ottavo, ultimo è dove finisce tutto, la linea di confine, l’ultima frontiera, dove c’è sempre un’orizzonte, basta solo voltarsi indietro. Arrivare ultimo può anche essere un orgoglio, dipende sempre da che parte guardi dentro il binocolo. La Svezia è ultima per bambini che muoiono, nel Niger, che è primo, una mamma su venti muore di parto, nove su dieci vedono morire almeno due dei loro figli.
La Danimarca è ultima per corruzione, prima è la Somalia, noi secondi in Europa dopo la Grecia, peggio, nel mondo, persino del Botswana. E l’Islanda è ultima nella classifica del male e della violenza, la terra più pacifica del mondo, a guardare lassù l’Irak, 148 Paesi sopra, forse in un altro pianeta. Noi ultimi siamo solo nei divorzi: ci vogliono 582 giorni per ottenere la sentenza, in Danimarca ne bastano 100.
Le classifiche dell’anno ci hanno consegnato una compilation di sfigati, di chi ha tradito, di chi ha deluso: per il Financial Times Padoa-Schioppa è stato il peggior ministro delle Finanze d’Europa, per l’Ekma Antonio Bassolino è il peggior governatore, Tremaglia l’ultimo nelle presenze in Parlamento, Pires ha tirato il rigore più brutto di tutti i tempi, l’aeroporto di Brasilia è il meno puntuale del mondo, Enna è la città meno adatta per farci vivere un bambino, Agrigento quella dove si vive peggio, Bologna la meno sicura, Genova la capitale dei borseggi, Napoli delle rapine, Crotone degli omicidi,
Isernia delle truffe. Sono la formula sbagliata, la soluzione che non torna, il momentosbagliato nel posto sbagliato. Ma domani si ricomincia, tutto può cambiare. In fondo il primo dell’anno arriva sempre dopo l’ultimo...- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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