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Gli ultrà con la fascia tricolore guidano la protesta

Prima sono passati loro: i sindaci ultrà, con fascia tricolore al petto e gonfalone fra le mani. Poi, sotto casa del primo cittadino di Susa sono arrivati i No Tav: «Mi hanno urlato frasi irripetibili, mi hanno insultata e minacciata», racconta il sindaco Gemma Amprino. È uno schema che si ripete: ad aprire i cortei contro l’alta velocità in Val di Susa spesso sono loro, i rappresentanti dello Stato sul territorio. «È una contraddizione in termini - prosegue la Amprino - ma ormai da tempo si va avanti così». Lo Stato benedice le manifestazioni, gli antagonisti le trasformano in azioni di guerriglia.
La Val di Susa è formata da molti paesi. Una buona metà ha amministrazioni che non si riconoscono nel linguaggio o nei modi del cosiddetto popolo No Tav, un’altra metà, sempre a spanne, pende dalla parte dei rivoltosi, alcuni come Loredana Bellone di San Didero sono sempre stati contrari ad ogni forma di dialogo. Ripetono sempre no alla Tav. Senza se e senza ma. E dicono sì ai cortei, sì agli slogan, sì alla rivolta. Così questa pattuglia di sindaci si schiera spesso in testa ai serpentoni colorati che più di una volta hanno coperto come chiocce la rabbiosa devastazione compiuta dai professionisti della rivoluzione che considerano ormai la valle una palestra straordinaria.
Certo, non si può demonizzare un intero movimento perché al suo interno si sviluppano i germi della violenza, ma nemmeno si può continuare a far finta di niente. L’allarme è stato dato, a vuoto, molte volte. E basta leggere le parole usate dal tribunale del riesame di Torino, nel confermare alcuni degli arresti avvenuti a gennaio, per capire la gravità della situazione. I giudici parlano di «devastante e incontenibile violenza collettiva, preventivamente e strategicamente pianificata». E ancora, per chi non avesse capito, descrivono «la propensione ad un uso strumentale della violenza spinta a livelli di massima ed irreparabile micidialità». C’è chi cerca il morto.
I sindaci No Tav però non mollano la prima fila, intanto i loro colleghi favorevoli all’alta velocità o comunque possibilisti, vivono ormai da semiclandestini. «In questo momento - racconta al Giornale il primo cittadino di Chiomonte Renzo Pinard che pure critica la latitanza di Roma sul territorio - sono in macchina e torno a casa passando da Sestriere, perché in certi paesi della valle, se ti riconoscono, non sai cosa può succedere».
L’assessore regionale Barbara Bonino ora chiede che questa ambiguità finisca: «È un problema che abbiamo posto al prefetto di Torino Alberto Di Pace. Mi aspetto che richiami i sindaci e proibisca loro di sfilare in corteo, questa situazione è intollerabile». Concetto ribadito da Gemma Amprino: «I nostri colleghi, che fra l’altro rappresentano una parte e non tutta la valle, non dovrebbero più essere alla testa di queste manifestazioni. Non si può protestare contro lo Stato che si rappresenta e poi così si dà copertura all’estremismo». Per ora però non è successo niente.

Anzi, 23 primi cittadini, guidati dal presidente della Comunità montana Sandro Plano, un ex democristiano che è stato sindaco di Susa e si è riconvertito al partito No Tav, dopo la burrasca hanno ripreso il filo della politica e della trattativa: hanno incontrato Di Pace consegnandogli un’istanza di sospensione dei lavori. È la loro lunga marcia: dai cantieri alla prefettura. Ma sempre contro la Tav.

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