Cultura e Spettacoli

«Un’umanità migliore per solidarietà e giustizia»

Il testamento politico del parlamentare socialista assassinato a Roma il 10 giugno 1924

«L’uomo di parte, l’assertore nobile ed alto di un’idea nobilissima, non sparisce, no, ma si riaffaccia in troppo ampia cornice. E, ingrandito così, quasi è tolto a noi, come alla famiglia dolente, perché è divenuto il simbolo. Il simbolo di un oltraggio, che riassume ed eterna cento e centomila altri oltraggi, fatti ad un popolo: la figura che compendia tutti gli altri trucidati e percossi per lo stesso fine, da Di Vagno a Piccinini, agli infiniti altri oscuri... ».
Con queste parole, nel luglio 1924, Filippo Turati esaltava nella figura di Giacomo Matteotti, assassinato dai fascisti poco meno di un mese prima, il 10 giugno 1924. Figure come quella di Giacomo Matteotti, o di Giuseppe Di Vagno, anch’egli assassinato a tradimento da un manipolo fascista dopo un comizio a Mola di Bari il 25 settembre 1921, o di Bruno Buozzi, di Giovanni Amendola, di don Giovanni Minzoni, testimoniano tutte, pur secondo un diverso itinerario culturale e una diversa esperienza di vita, una comune convergenza verso la cultura delle riforme, della libertà, del garantismo e dell’impegno per la crescita culturale e civile dell’intera collettività.
Si legge nelle Direttive del Partito socialista unitario dal lui redatte nel 1923: «Il socialismo non sta per noi in un aumento di pane e in più alto salario; benché anche questo sia sacrosanto e indispensabile a ogni altro elevamento, benché quelli che affettano di spregiarlo come materialismo, non abbiano alcuna intenzione di digiuno. Il Socialismo parte dalla realtà dolorosa del lavoratore che giace nella abiezione e della servitù materiale e morale, e intende e opera a sollevarlo e a condurlo a miglioramenti economici e intellettuali, a Libertà Sociale e a Libertà Spirituale, sempre più alte. Vuole cioè formare e realizzare in lui l'Uomo che vive, fratello e non lupo, con gli Uomini, in una umanità migliore per solidarietà e per giustizia».
Ma così come sono chiari i fini, per Matteotti sono anche chiari i metodi per conseguirli attraverso una forza politica unitaria «che si chiamò con questo nome anche per significare che vi avevano diritto di cittadinanza non solamente i socialisti di destra, ma tutti i socialisti che avevano votato contro la scissione del Partito, e che non avevano voluto sottoporsi alla dittatura della cosiddetta Internazionale di Mosca; mentre rimasero dall’altra parte i fautori della divisione, che volevano deviare il socialismo italiano nelle nuove illusioni del comunismo». Illusioni rispetto alle quali egli pone preliminarmente una netta distinzione relativa al metodo dell’azione politica che per i socialisti non può che essere «il metodo democratico in un’atmosfera di libertà politica», quale condizione necessaria per lo sviluppo e l’emancipazione della classe lavoratrice.
Se è naturale che nei rapporti fra capitale e lavoro vi sia lotta per la divisione del profitto; se è fisiologico che nella società vi sia lotta fra gli interessi contrapposti delle classi sociali, ciò non significa in concreto la necessaria equivalenza fra la «lotta di classe» e la «guerra di classe», che distruggendo in un’eterna contesa le fonti della produzione e l’atmosfera di libertà civile preclude a tutti la prospettiva di un progresso sociale e di maggior benessere economico.
Né è da escludere per motivi ideologici la eventualità e la possibilità di collaborazione di classi e di partiti diversi. «Se un gruppo borghese - aggiunge Matteotti - nell’intento di ottenere una migliore produzione, vuole favorita la istruzione popolare, conviene a noi di appoggiarlo contro gli altri che preferiscono la ignoranza del popolo. Se una parte della borghesia è con noi concorde nel volere ristabilita la libertà dell’organizzazione operaia, la libertà del voto, la pace internazionale ecc., sarebbe delittuoso lasciarla in minoranza, di fronte alla dominazione di altri gruppi più reazionari, invece di aiutarla a formare contro questi una maggioranza vittoriosa».


Sono parole del 1923: ma ciascuno può riflettere oggi su quanto della loro insistenza sulla necessità dì una costante attenzione allo sviluppo economico e civile degli individui e della società sia stato nel tempo e costituisca tuttora il nucleo essenziale della proposta politica del riformismo socialista.

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