Unabomber, un paio di forbici per incastrarlo

L’attrezzo avrebbe tagliato i fili di una bomba che non esplose

nostro inviato a Pordenone

Il paio di forbicine era stato sequestrato lo scorso marzo nell'ultima perquisizione. Sarebbero state messe da parte assieme agli altri attrezzi requisiti se un consulente del pool anti-Unabomber, un ex agente specializzato in balistica, non avesse provato a passarle sotto un microscopio a scansione elettronica. I carabinieri del Reparto investicazioni scientifiche di Parma hanno poi confermato l'esito dell'esame: piccolissimi segni sul filo delle lame sono compatibili con le tracce lasciate su un sottile pezzo di lamierino usato per costruire un ordigno l'anno scorso. Un congegno inesploso, una traccia importantissima per gli inquirenti che danno la caccia al folle bombarolo che da 12 anni ferisce e terrorizza il Friuli e il Veneto orientale.
È la svolta delle indagini o l'ultimo (per ora) capitolo di un giallo inestricabile? Gli inquirenti mostrano estrema prudenza: il procuratore distrettuale antimafia di Trieste, Nicola Pace, che assieme all'omologo veneziano Vittorio Borraccetti coordina l'attività inquirente, non rilascia dichiarazioni «senza averle concordate con gli altri responsabili delle indagini». Il procuratore generale di Venezia, Ennio Fortuna, non ha interrotto le vacanze a Sanremo. La Digos minimizza. Fonti investigative parlano di un piccolo indizio, che però riaccende l'attenzione su Unabomber.
Invece spara ad alzo zero il difensore dell'uomo nella cui casa sono state trovate le forbici: «Con tutto il rispetto per le persone ferite, il mio assistito è la prima vittima di questo caso - dice l'avvocato Paolo Dell'Agnolo -. Lui non c'entra nulla. Che gli investigatori comunichino i risultati delle indagini ai giornali, la dice tutta: i termini per le indagini stanno per scadere e i magistrati vogliono avere altro tempo. Se avessero uno straccio di indizio serio, il mio cliente sarebbe già in cella. Lo seguono da oltre due anni, dovrebbe essere una specie di Diabolik che gliel'avrebbe fatta sotto il naso».
Questo maestro del crimine sarebbe un ingegnere elettronico originario del Bellunese ma residente da tempo a Corva di Azzano Decimo, a pochi chilometri da Pordenone. Un professionista con l'hobby degli esplosivi e una promettente carriera all'Oto Melara interrotta dopo quattro anni, indagato dal settembre 2004: l'accusa è fabbricazione di esplosivi con finalità di terrorismo. A suo carico non è scattato nessun altro provvedimento. Da quel settembre, Unabomber ha colpito più volte: nel gennaio 2005 un ovetto esplosivo non lontano dal tribunale di Treviso, in marzo una candela elettrica nel duomo di Motta di Livenza, il 30 giugno una microcassetta sotto il sellino di una bicicletta a Portogruaro, lo scorso 5 maggio una bottiglia galleggiante a Caorle. Tutti luoghi nei quali l'ingegnere non ha messo piede.
L'ordigno di Portogruaro non esplose: una traccia importantissima per gli investigatori che l'hanno analizzata a fondo, fino a trovare le tracce giudicate compatibili con le forbici sequestrate a casa del tecnico.

Il rapporto è stato consegnato oltre due mesi fa ai magistrati e al pool interforze di 30 tra poliziotti e carabinieri distaccati a tempo pieno per snidare il folle che semina ordigni in spiagge, ovetti di cioccolato, tubetti di maionese, pennarelli, inginocchiatoi delle chiese. Un indizio che si aggiunge agli altri: saliva su nastro adesivo, inneschi, tipo di esplosivo. Tanti particolari che non fanno una prova.

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