Unicredit, ok all’aumento. Anche dai libici

Unicredit, ok all’aumento. Anche dai libici

Il «patto d’onore», come lo ha definito il presidente Dieter Rampl, alla fine è stato siglato. L’assemblea di Unicredit ieri a Roma ha dato il via libera - con una maggioranza del 97,88% - all’aumento di capitale da 7,5 miliardi che riporterà il Core Tier 1 ratio sopra il 9% nel primo semestre dell’anno prossimo e terrà l’istituto di Piazza Cordusio «al riparo dalle agenzie di rating», come ha successivamente sottolineato l’ad Federico Ghizzoni. Il prezzo sarà stabilito nel cda di inizio gennaio e non in quello odierno.
La vera notizia della giornata è arrivata sempre dalla Capitale: il Comitato per la stabilità finanziaria ha autorizzato la Banca centrale libica (azionista col 4,988%) a partecipare all’aumento: un impegno da 375 milioni a cui potrebbe aggiungersi anche quello della Libyan Investment Authority (2,6%). Il consenso «bulgaro» dell’assemblea alla ricapitalizzazione è un buon viatico - così auspica Ghizzoni - per la sottoscrizione pro quota dei grandi soci a partire dalle Fondazioni azioniste, inclusa Cariverona che pure ieri ha messo in evidenza la necessità di una «severa riflessione» sulle cause che hanno determinato il nuovo ricorso al mercato. In ogni caso, il top manager ha ripetuto che, visto l’importo dell’operazione, «sono possibili modifiche dell’azionariato» e che «c’è disponibilità all’ingresso di nuovi soci in forma amichevole». La porta per fondi sovrani interessati è aperta.
Ma, incassato il sì dei gli azionisti, che cosa farà Unicredit di quei 7,5 miliardi? E quali saranno le sue mosse future? Il terzo aumento in tre anni serve a chiudere col passato «espansionista» di Alessandro Profumo e a rilanciare un business concentrato sull’attività tradizionale. Per fare questo era indispensabile per stare fuori dal «rischio-Eba», l’Authority europea che vorrebbe imporre a Unicredit oltre 7,9 miliardi di aumento. E Ghizzoni, sommessamente, ha precisato che la regolamentazione è severa perché «non è stato tenuto conto che le banche italiane non hanno titoli tossici».
Il top manager ha fissato alcuni punti rispondendo ai soci. In primo luogo, Unicredit non procederà all’affrancamento degli avviamenti (come fatto anche da Intesa) per ottenere un beneficio fiscale nonostante la corposa svalutazione da 8,6 miliardi nel terzo trimestre. Sul caso-Brontos non sono escluse future sanzioni per l’accusa di evasione fiscale (l’esborso ipotizzato in caso di transazione è di 99 milioni) si aggirano attorno ai 99 milioni. Unicredit potrebbe infine partecipare all’asta a tre anni della Bce del 21 dicembre per ottenere liquidità a tassi vantaggiosi in cambio di bond garantiti dallo Stato. «Non è una cifra consistente, ma è un’opportunità», ha concluso.


Ghizzoni ha invece rispedito al mittente le critiche di alcuni azionisti sul coinvolgimento in alcuni salvataggi, non ultimo quello di Fonsai e ha rivendicato la piena sintonia col capo del corporate Mustier sul dossier-Ligresti. La conferma nell’assemblea di bilancio dipende anche da questi piccoli particolari. La Borsa comunque ha apprezzato e Unicredit ieri ha guadagnato l’1,14 per cento.

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