Laura Cesaretti
da Roma
C’è anche chi ha voglia di scherzarci sopra: «Fiorani tira in ballo Consorte? E vorrà dire - commenta un parlamentare ds dalemiano - che se arrestano anche lui, noi lo candidiamo alle politiche. Diventerà un eroe, e prenderemo il 3 per cento in più...».
Ma è un’eccezione. La preoccupazione è palpabile («Rischiamo un clima da ’92», paventano nell’Ulivo) e la questione, anche se ufficialmente si nega, è stata al centro del colloquio di ieri tra Prodi, Fassino e Rutelli. Ma la linea che predomina, nel centrosinistra, è quella delle bocche cucite. Delle facce scure. Delle domande e risposte scambiate a mezza bocca alla larga dai giornalisti. Tutti tranne uno: Piero Fassino. Perché alla fine tocca proprio a lui (che in questi giorni aveva cercato di frenare le ansie di parte dalemiana di «reagire al bombardamento mediatico», e di tenere distinto il suo partito dagli sviluppi di Opa e inchieste) di andare in tv e affrontare in diretta le forche caudine di un confronto sul caso Unipol, incalzato su La7 da Giuliano Ferrara e Ritanna Armeni. Un Piero Fassino nervoso, ma che accetta impavido di difendere il buon nome del suo partito, e anche quello di D’Alema, dalle «insinuazioni» sparse contro di loro, «vittime di una campagna che ci ha addirittura additati come se fossimo partecipi della scalata al Corriere: ma che c’entrano i ds con tutto questo?». Che si indigna per il «riproporsi della campagna estiva», volta a «contestare il diritto del movimento cooperativo», che non è «una banda di affaristi», di essere un soggetto imprenditoriale come gli altri»; e a rendere «la parola scalata sinonimo di reato moralmente perseguibile». Non si sottrae neppure a chi gli ricorda le intercettazioni agostane, le sue telefonate ai protagonisti delle scalate: ««Diventa un capo d'accusa fare una telefonata e chiedere informazioni su come va una certa vicenda che riguarda il movimento cooperativo che notoriamente è vicino a quella vasta area politico-culturale che si chiama sinistra? Tanto per essere chiari, io non sono compagno di merende di nessuno». Se Unipol non ha agito «nel rispetto delle norme, ne risponderà». Ma lui, il leader della Quercia, continuerà a difendere «il suo diritto di non essere considerata figlia di un dio minore», come un tempo disse D’Alema dei ds al governo. E lo difende («e sia chiaro, non per un tornaconto di partito e men che meno finanziario») fino a muovere accuse pesanti: certo per Fassino «parlare di complotto non è la lettura giusta», ma l’azione della magistratura «è utilizzata da alcuni per ostacolare l’ingresso di Unipol nel sistema bancario». Forse anche per avvantaggiare la Margherita rutelliana contro la Quercia sotto botta? «Fin lì non arrivo, non vedo relazioni automatiche». Ma avanza un «sospetto» grave: che questo «continuo rinvio» della decisione delle Authority che devono dare via libera all’Opa su Bnl, che rischia di «danneggiare gli azionisti che ci hanno investito», sia «il risultato di un condizionamento, di una pressione forte che in termini politici viene fatta su queste autorità con la campagna che si sta sviluppando...». Giuliano Ferrara lo interrompe: «Da chi?».
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