Mamma la Turco. «Le donne clandestine che partorisconooo… non sanno dove andareee!». La mandibola rotante, gli occhi lucidi, le guance color bandiera sovietica, la pelle che si tira e s’inumidisce di sudore, il tono di voce un’ottava sopra modello aquila ferita, il ciuffo biondo alla Gwyneth Paltrow che sventola come la penna dei bersaglieri. Quattro minuti e 40 secondi di potenza senza controllo: e Livia si trasforma in «Liviatano», sulla scia del bestione di biblica memoria. Roba da paralizzare pensionati e casalinghe sintonizzati all’ora di pranzo sul secondo canale, ingannati dal titolo pacioso del talk show: «Insieme sul due». La pioggia di bile che ha allagato il salotto casomai fa pensare a «La Guerra dei Mondi».
Si parla di medici e clandestini, e in studio regna il gelo di fronte all’esplosione della Turco: «Gli immigrati non sono delinquenti! Gli è scaduto il documentoooh! Stanno per partorire! Par-to-ri-reeh!». Le mani s’avvitano come mulinelli, schiaffeggiano le mosche, chi si trova a distanza di tiro è perduto. Monica Setta resta di sasso, Irene Pivetti recita il Padrenostro, perfino Borghezio, lì a fianco, a confronto pare Lord Brummel. L’ex ministra batte i pugni, le sale l’affanno, qualcuno dice che poi si è sentita male: «Io mi devo calmare? Calmatevi voi!».
Il video della Turco furiosa pare stia già spopolando tra gli internauti, dopo quello dell’incredibile Hulk che si squarcia la camicia, e quello di Dragon Ball che si gonfia mentre diventa Super Sayan di terzo livello. Noi, che agli sbalzi umorali di Livia siamo abituati, non ci sorprendiamo granché. Per capire quanto la Turco sia deboluccia di nervi, basta tuffarsi nel mare di lacrime che la contraddistingue: «Non mi rompete le scatole - disse una volta - i sentimenti sono parte integrante della politica, e bisogna saperli governare». Ecco, neanche per quel tipo di governo ci pare portata: cominciò a frignare nel ’91, alla Bolognina, abbracciando Occhetto aggrappato a un mazzo di fiori. Poi sguinzagliò le ghiandole lacrimali nel ’97, al siluramento del governo Prodi Uno, «per eccesso di amarezza»: piagnisteo rinnovato con la recente disfatta del Prodi Due: «Non pensavo sarebbe successo, eppure… ».
Eppure Livia, solida cuneese di Morozzo, patria del celebre cappone che riporterebbe alle gioie natalizie, ebbene Livia in realtà è una fontana con le gambe: «È vero, mi scappano le lacrime, ma perché so appassionarmi». Piange amaro al congresso delle Acli, nel ’99: e poi ancora quando sciolgono i Ds fa la doccia alla platea. Quando l’allora ministro De Mauro si commosse in pubblico parlando della riforma scolastica, lei per consolarlo disse che «lo capisco molto, perché… », e già alla prima virgola aveva allagato il palco. «Piango per le piccole cose - dice lei - ma a volte di fronte a fatti molto gravi resto con gli occhi asciutti». Livia di lotta e di fazzoletto. Pierangelo Sapegno ne ha decantato «la mascella volitiva alla Fabio Capello che ne esalta l’asprezza delle radici contadine. Ma se Fabio Capello sa solo vincere, lei ha dimostrato che perdere non è un peccato».
Mica facile tenere botta, per l’ex ministro della Sanità assediato spesso dal suo stesso schieramento, specie quando carica a testa bassa sull’assistenza ai nomadi, sulla pillola abortiva, sulla modica quantità. Certo per la «Signora Perdivoti», come la chiama Sartori, è stressante proseguire in famiglia le battaglie politiche. Il padre democristiano Giovenale voleva quasi cacciarla di casa: «Perché dai i soldi agli zingari? Aiuti troppo gli immigrati». Quando pensò di portare la frutta nelle scuole al posto delle merendine, il figlio Enrico le dipinse inquietanti rappresaglie scolastiche: «Mamma, se lo fai, io sono finito». E lei, quando propose di alzare la dose minima di marijuana, rivolta al pargolo: «Questa è la mia posizione da ministro: ma come mamma, se ti fai uno spinello ti riempio di botte». Anche perché Livia non fuma neanche le sigarette, «sono pure astemia, che per un piemontese è gravissimo. In compenso mangio il fritto misto, che è molto lussurioso».
«Essere ex comunista e cattolica osservante è un cocktail psicologico che darebbe alla testa di chiunque», così Piero Ostellino sviscera la fragilità di Livia. Tanto che una volta Fassino chiuse una riunione così: «Sciogliamo il vertice e lasciamo pure che la Turco pianga». D’altronde, una che ha passato la vita al Bottegone, dove le emozioni soccombono alla disciplina di partito, prima o poi doveva sfogarsi.
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