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«Per gli Usa crescita 2007 al 2,2%»

«I mutui americani? Quelli a rischio riguardano solo il 6% del totale»

nostro inviato a Cernobbio

Non vuole fare previsioni, soprattutto sulle Borse, perché, dice, «non è il mestiere del Fondo monetario internazionale». Ma le cose le sa e in parte le dice, John Lipsky, primo vicedirettore generale del Fmi, ieri a Villa d'Este per il convegno Ambrosetti, un passato da banchiere d'affari, in Jp Morgan, dove ricopriva la carica di vicepresidente.
L'ex governatore della Fed, Greenspan, ha lanciato un allarme sul rallentamento dell'economia Usa. Come la vede? Si può parlare di soft landing?
«Diciamo che c'è una situazione di "slow down" dal terzo trimestre del 2006. La crescita del Pil, da oltre il 3%, è scesa al 2,5%. La decelerazione è proseguita in questo primo trimestre e sarà ancora più marcata nei prossimi mesi. Per il 2007 prevediamo un dato finale del 2,2%. Ma dopo la prima metà dell'anno la crescita tornerà verso il 3%».
Le cause?
«Due: situazione difficile nell’immobiliare e investimenti aziendali inferiori nonostante i profitti record».
Ci saranno ripercussioni sui mercati finanziari? Qualcuno teme il crollo.
«La volatilità recente è molto ridotta rispetto agli standard di momenti simili, o a quanto accaduto nel maggio scorso. E proprio perché la crisi di un anno fa è stata ben superata, c'è grande fiducia che lo sia anche questa».
C'è una paura nuova: quella delle potenziali insolvenze nei mutui, soprattutto i cosiddetti "subprime".
«Attenzione: il mercato dei mutui si divide in tassi fissi e variabili. Il problema riguarda solo questi ultimi e in particolare i cosiddetti "teaser", cioè i mutui con un tasso d'entrata quali nullo, molto allettanti, che poi aumentano il loro costo nel tempo. Sono questi il cuore del problema, ma in ogni caso la percentuale dei mutui a rischio è pari al 6% del totale assoluto».
Quindi il rischio è contenuto?
«Direi di sì. Anche perché una situazione di questo tipo sul mercato dei mutui può diventare una minaccia se associata a condizioni di economia debole, calo dei salari, aumento dei tassi e dell'inflazione».
Però la Fed ha il faro sempre acceso proprio sull'inflazione ed esiste l'ipotesi di un nuovo aumento dei tassi. O no?
«La Fed segue l'inflazione con grande attenzione perché un suo aumento creerebbe gravi problemi all'intera economia globale. Ma finora si è visto che l'aumento dell'inflazione è correlato a un evento esogeno: l'andamento dei prezzi dell'energia, del petrolio.

Inoltre lo slow down dell'economia dovrebbe contribuire a contenere le tensioni inflazionistiche. E mi sembra che gli investitori la pensino così: basta guardare la curva dei rendimenti dei bond Usa a 10 anni: è stabile dal 2003».

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