Utile integrare l’alimentazione per ritardare l’invecchiamento

La ricerca scientifica ha individuato alcuni geni, chiamati «vitageni», che possono consentire all’organismo di vivere più a lungo e in buona salute, contrastando le malattie che spesso accompagnano l’invecchiamento. Ciò significa non solo che si possono rallentare certi processi tipici della terza età ma che si può anche contrastare l’insorgenza di patologie cronico-degenerative.
Una nuova scienza studia i rapporti tra i geni «vitageni» e il nostro Dna. Si chiama Nutrigenomica e si propone di studiare a fondo la nostra alimentazione, per sfruttare al meglio le potenzialità dei singoli cibi in rapporto alle caratteristiche genetiche di ogni individuo.
Giovanni Scapagnini, professore associato di biochimica nell’Università del Molise e noto esponente del Consiglio nazionale delle ricerche, sta lavorando da alcuni anni a un progetto «anti-aging». Nel corso di questi studi, Scapagnini e i suoi collaboratori hanno scoperto alcune sostanze capaci di stimolare i vitageni: sostanze che non sono normalmente presenti nell’alimentazione o lo sono in piccole quantità. Si impone così da una parte la necessità di personalizzare l’alimentazione caso per caso (specialmente dopo i settant’anni) e dall’altra l’opportunità di provvedere, con «integratori», appositamente sviluppati, a colmare eventuali deficit. È noto del resto che un’alimentazione più varia e più ricca ha fatto crescere notevolmente la statura della popolazione italiana.

Allo stesso modo, un’alimentazione «integrata» può risparmiarci malattie come l’osteoporosi e le cardiopatie, favorite dai processi di invecchiamento delle arterie. La Nutrigenomica si propone di contribuire alla soluzione del problema che affligge soprattutto gli anziani.

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