Uto Ughi e i Solisti Veneti riscoprono Viotti e Spohr

Il grande violinista con la formazione fondata nel 1959 e diretta da Scimone

Uto Ughi e i Solisti Veneti riscoprono Viotti e Spohr

Piera Anna Franini

Europa Galante, Giardino Armonico, Concerto Italiano, Accademia Bizantina, e il catalogo proseguirebbe. Il catalogo dei complessi di casa nostra specializzati nella musica antica, un capitolo per decenni trascurato nell’Italia terra dell’opera e che conta un pioniere d’eccezione: Claudio Scimone, questa sera alle 21 in Conservatorio alla testa dei Solisti Veneti e in compagnia di un solista d’eccezione: il violinista Uto Ughi. L’invito viene dalle Serate Musicali.
Il programma rispecchia predilezioni e congenialità di solista, direttore e orchestra: Concerto n.3 di Viotti, Concerto n.8 in la minore di Spohr e Romanza op. 40 e op.50 di Beethoven. Ai Solisti e a chi li creò - Scimone, appunto - fa capo l’Integrale vivaldiana, tutti i Concerti di Albinoni, interi cicli sono stati dedicati a Tartini, Geminiani, Mercadante, Galuppi, Boccherini.
Ughi è l’artista che tutti conosciamo, assieme a Salvatore Accardo l’emblema del violinismo di casa nostra. Un interprete a tutto tondo: di partiture musicale e del contesto storico in cui vive. In breve, un artista engagé, che si esprime senza usare mezzi termini rilasciando spesso interviste al curaro.
Nati nel 1959 a Padova, i Solisti contano ora 4mila concerti, trecento incisioni discografiche, partecipazioni a trasmissioni televisive. Un’attività siglata da un motto, chiarito subito nel primo capitolo della «nostra Costituzione: nessuno, ascoltandoci deve dire », spiega Scimone, musicista allergico all’atmosfera togata che talvolta aleggia nelle sale da concerto, pronto a sperimentare diverse iniziative artistiche e culturali.
Perché la musica è sì un rito «ma deve essere festoso», rimarca Scimone. E ancora, «l’artista non deve sembrare a un essere che viene da mondi lontani, semmai il compito della musica è quello di aiutare l’uomo a ritrovare se stesso e renderlo simpatico».
Fra le operazioni non proprio cattedratiche dei Solisti Veneti, i concerti in alta quota, uno su tutti: quello sulle cime boliviane, a quattromila metri, nel 1998. Fra gli appuntamenti di prestigio, quello fisso – dal 1965 – al festival di Salisburgo. Il compositore congeniale, Antonio Vivaldi e conterranei (area veneta).
La scelta di solisti e di professori d’orchestra preferibilmente italiani risponde alla filosofia di Scimone che senza opporre «preconcetti nazionalistici» appena può accoglie nell’organico strumentisti italiani, «non vedo perché ricorrere all’estero quando fuori porta c’è un buon musicista», osserva pragmatico.
Anche Uto Ughi svetta fra i promotori di concerti anti-routinier. Ai concerti nei luoghi di rito, teatri e auditorium, là dove il nome di Ughi continua a fare audience senza inflessioni (di un mercato musicale in crisi), si affiancano infatti quelli nelle carceri (Rebibbia) e nelle scuole. È nato così l’«Uto Ughi per Roma», ente che si preoccupa di diffondere il patrimonio musicale e di valorizzare i giovani talenti.


Rassegne gratuite per ragazzi che non frequentano la classica «non per colpa loro, nessuno gliel’ha mai fatta neanche sentire» sferza Ughi alludendo al nostro sistema scolastico che ignara con disinvoltura il mondo della musica. Del resto, non mancano le frecce scagliate anche contro gli stessi operatori che insistono nel trattenere la musica nella torre d’avorio, rassegnati all’idea che la fascia d’utenza interessi gli ultraquarantenni.

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