Utopia del comunismo Un sogno che uccise

Cadono le prime foglie e riaprono i teatri: l’appuntamento è col Piccolo Teatro «Lavoratori di tutto il mondo ridete!»: potrebbe iniziare così il lavoro che Moni Ovadia porta in scena in prima nazionale. La bella utopia è il titolo dello spettacolo firmato dal regista che ha riportalo in luce la grande cultura ebraica, va in scena sotto la maschera dello stesso autore e con Lee Colbert, Maxim Shamkov e la Moni Ovadia Stage Orchestra. Sogno o incubo? Questa la domanda, ma la soluzione non è facile, ci si deve confrontare con la storia degli ultimi novant’anni. Titolo dolorosamente ironico che rievoca la più epica utopia di redenzione mai concepita, come spiega l’autore: il comunismo. Ora sembra facile parlarne, ma «comunismo», queste nove lettere, sono lacrime e sangue di quattro generazioni. Sogno che mobilitò l’impegno e le energie di milioni di uomini e donne di mezzo mondo, persone vive e pulsanti, non robot e burocrati come vuol far credere un certo revisionismo televisivo. Chiave di interpretazione è l’humour ebraico, umorismo paradossale e critico che permette di scoprire la realtà di quegli anni. Gli ebrei russi svolsero una funzione importante, sia nella prima rivoluzione fallita del 1905 che in quella vittoriosa del 1907: eppure furono i più bersagliati e odiati, vittime dello stalinismo dal quale furono traditi fin dai primi anni. Dalla figura del narratore, da quello che racconta con animo disincantato, prende forma una partitura densa di umorismo, memorie, confessioni dolorose, che danno vita alla vicenda quasi secolare della grande Russia: storia di un popolo e della sua meravigliosa illusione, di coloro che la sognarono e di chi ne fu vittima: «Se solo Stalin sapesse!» era il grido che si levava dai condannati nei gulag.

Eppure Lui, il demiurgo folle e malvagio, non era innocente. «La vera storia la fanno le vittime» disse Trotski nei suoi ultimi giorni.
La bella utopia
dal 26 al 7 ottobre
Piccolo teatro largo Greppi
biglietti 23,50/20,50

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