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Utopia e Currentzis, un binomio che convince

Nell'adeguata acustica del Teatro Grande di Brescia abbiamo ascoltato il debutto italiano dell'Orchestra Utopia

Utopia e Currentzis, un binomio che convince

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Nell'adeguata acustica del Teatro Grande di Brescia abbiamo ascoltato il debutto italiano dell'Orchestra Utopia (due sole date, ieri ospite della stagione di Santa Cecilia, Roma). Non è la prima formazione di musicisti provenienti da tutto il mondo che si raduna ad hoc per «creare» un programma e poi ritorna alle sue sedi stabili. Mecenati e botteghino dovrebbero alimentarne l'autonomia: mai nomen omen (Utopia) è stato così pertinente. Tempi stretti e costi di spostamenti permettendo, lo scopo dichiarato è provare a suonare in modo diverso dalla routine dominante.

Il concerto bresciano ha confermato che formazioni «istantanee» finiscono per prendere l'immagine di chi le dirige. Utopia ha dalla sua parte un'artista che non lascia mai indifferenti: Teodor Currentzis, provocatore e iconoclasta per natura. Per sostenere la decantazione iper-rococò del concerto tardo-romantico per violino di Brahms (solista la spalla dell'orchestra, Barnabas Kelemen), Currentzis si camuffava da cigno nero Nijinskij, svolazzando e battendo il tacco sonoro delle scarpe con mimiche più Lindsay Kemp che Marcel Marceau. Nella Quinta sinfonia di Cjaikovskij ha diretto in maniera straordinariamente galvanizzante, ottenendo un fraseggio di spessore espressivo con suture magistrali esaltando perfino la coda del finale: non roboante come solito ma sprizzante maestosa voglia di concludere una festa in musica. Il pubblico è letteralmente impazzito, prima e dopo il bis (il passo a due dello Schiaccianoci, che Currentzis ha voluto spiegare avrebbe eseguito non come dolcetto natalizio ma in modo lirico-drammatico grazie maestro, lo avrebbe capito anche un critico sordo). Solo pochi anni fa in tanti storcevano il naso davanti ai balletti di Teodoro; adesso l'aria da puro folle sembra vellicare anche gli sparuti sopravvissuti dello snobismo musicale.

Comunque si tratta di un artista fuoriclasse, a prescindere da come vuole dirigere: il suo Cjaikovskij gli fa perdonare eventuali capricci e le pose mefistofeliche.

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