«Francoforte, abbiamo un problema». Odissea nello spazio monetario, atto secondo. O quasi. Perché se è vero che lallarme rosso non è ancora scattato, di sicuro nella sala comandi del Tesoro qualche lucetta di malfunzionamento si è riaccesa ieri non appena conclusa lasta dei Btp. I Buoni poliennali sono il miglior termometro per valutare il grado di affidabilità verso lItalia, rimasto ieri molto basso. I rendimenti sono tornati a essere una specie di tunnel percorso a fari spenti, con il tasso dinteresse dei decennali salito dal 5,84% al 6,03% e quello dei quinquennali dal 4,85% al 5,56%. Male, considerato che certe cifre non si vedevano dal novembre 2011.
Sarà un caso, ma da quando la Bce ha smesso di calmierare la febbre da rendimenti e da spread interrompendo gli acquisti dei bond periferici, in particolare italiani e spagnoli, abbiamo rimesso i piedi su un campo minato. I compiti a casa ormai fatti (leggi: il tirar di cinghia obbligato da nuove tasse, imposte e balzelli), qualche riforma abbozzata e la spending review che lascia presagire un maggior e miglior uso di forbici sulla spesa pubblica, non sono al momento garanzia di successo per collocare il debito della Repubblica. Tanto più che il risultato di unemissione non si misura solo da quellascensore che sono i tassi, ma anche dalla domanda. E ieri, non cè proprio stata una ressa per mettere le mani sui nostri Btp: in tutto, sono stati «piazzati» bond per 5,73 miliardi mentre la domanda si è attestata a 7,85 miliardi rispetto a unofferta pari a 6,25 miliardi.
Il vice ministro dellEconomia, Vittorio Grilli, ha parlato di «condizioni di mercato non ideali». Non ha tutti i torti. Per trovare il «tutto esaurito» bisogna guardare altrove: ai bund tedeschi, ai T-bond Usa e ai Gilt inglesi, lì dove la corsa allacquisto del bene-rifugio finisce per schiacciare i rendimenti. Sono queste dinamiche divergenti a favorire lallargamento dei famigerati spread, a far soffrire i Btp (differenziale a 467 punti) e i Bonos spagnoli (a quota 540, ennesimo record negativo). Il resto è frutto dellavvicinarsi delle elezioni-bis in Grecia in un continuo ribaltamento dei sondaggi, ora a favore dellala sinistra anti-austerity. Torna così in pista lopzione Grexit, cioè laddio di Atene alleuro, e aumentano le fibrillazioni dei mercati. A farne le spese, in prima battuta, è stato ieri proprio leuro, sceso per la prima volta dal luglio 2010 sotto gli 1,24 dollari. Le Borse europee hanno bruciato 100 miliardi (Milano ha ceduto l1,9%, con lindice sotto i 13mila punti; peggio è andata a Parigi, crollata del 2,11%, e soprattutto a Madrid, giù del 2,4%). La Spagna resta infatti il secondo principale elemento di preoccupazione. Voci diffuse dal Financial Times avevano paventato la bocciatura della Bce al piano di ricapitalizzazione di Bankia, listituto che ha chiesto aiuti governativi per 19 miliardi di euro. La smentita è arrivata dalla stessa Eurotower: «Contrariamente a quanto riportano i media, la Bce non è stata consultata e non ha espresso alcuna posizione sui piani delle autorità spagnole per ricapitalizzare una delle principali banche spagnole. Siamo pronti a dare il nostro consiglio sugli sviluppi di un simile piano». Chi invece dispensa raccomandazione è la Commissione Ue.
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