In vacanza leggiamoci i "mattoni"

Ma perché un libro deve essere per forza "distensivo"? Perché leggere i gialli e Faletti? Ecco perché, invece, la lettura è e deve essere una cosa difficile

In vacanza leggiamoci i "mattoni"

Lo scorso anno ho assistito a una conferenza dal titolo «Perché la matematica è una cosa umana». L’oratore era uno dei più grandi matematici del mondo, e nella sala conferenze saremo stati forse in mille. A un certo punto ha pronunciato una frase («e poi la matematica è umana perché è difficile») che ha provocato un fortissimo, spontaneo, prolungato scroscio di applausi.
Perché quegli applausi? Perché le parole di quel matematico ci avevano liberato da un peso, da qualcosa che ci umiliava senza che ce ne rendessimo conto: il peso della facilità.
«Fermati, Max: la tua facilità non semplifica», canta il grande Paolo Conte. Nella giusta tensione a rendere semplice la vita, siamo incappati nella facilità, e ne siamo rimasti prigionieri.
Queste cose mi tornano alla mente perché mi è già capitato di sentirmi chiedere che libri porterò sotto l’ombrellone. Tutti dicono di portare libri sotto l’ombrellone. Prevale l’aggettivo «distensivo»: il libro dev’essere soprattutto distensivo. La filosofia a supporto è: dobbiamo distrarci, liberare la mente. Abbiamo lavorato tutto l’anno, sempre le stesse preoccupazioni, sempre gli stessi pensieri. Adesso è tempo di snebbiarsi un po’.
Si legge per pensare altre cose. La letteratura serve a questo: essa confeziona mondi diversi. Mondi dove le biografie sono diverse (letterature di altri continenti, libri di viaggi), oppure mondi immaginari, pieni di criminali, con leggi un po’ meno fastidiose e poliziotti o detective migliori.
Abbondano i commissari: ce n’è di sportivi, di lavativi, di filosofi, di pragmatici. Una vera costellazione.
In vacanza chi ha faticato tutto l’anno, soprattutto mentalmente, vuole pensieri vasti, colori distesi, grandi tele piatte. Fiorisce il turismo d’arte, il più misterioso di tutti: code interminabili per ammirare qualcosa che, nella maggioranza dei casi, non si può capire perché richiede la conoscenza di una sintassi complessa. Capire un’opera di Leonardo o di Caravaggio non è facile. Ma, in fondo, basta non pensarci.
In tutto questo modo di fare c’è qualcosa di umiliante. La forza liberante delle parole di quel matematico sta nella stima per l’uomo che esse presuppongono. Dire che una cosa è umana perché difficile significa avere un grande concetto di quello che siamo e dei traguardi che possiamo raggiungere.
Anch’io, s’intende, ho ceduto al fascino del «distensivo-perché-facile», ma sono sempre rimasto deluso. Non ce l’ho, naturalmente, con gli autori di quei libri, che fanno il loro mestiere tenendo conto della domanda di mercato. La domanda è sempre una cosa da prendere sul serio: il problema è che la risposta (pensiamo alla domanda di stupefacenti) è complessa. Il guaio, anche qui, è che spesso non ci si pensa.
Tutto questo non pensare ha prodotto un mondo dal quale, una volta sotto l’ombrellone, cerchiamo di liberarci mediante prodotti concepiti dallo stesso mondo che ci ha stressato. Stesso mondo, stessa logica, stessa lunghezza d’onda.
Tutte le volte che mi sono lasciato trasportare nel gorgo della facilità ne sono uscito deluso. Tutta questa facilità mi svuotava. E siccome spesso i libri facili che leggevo erano anche libri lunghi, l’impressione di avere buttato via del tempo era molto forte.
Ma i passatempi - siano essi romanzi, parole crociate o videogiochi - non possono dare soddisfazione, e quindi non possono dare neppure vero riposo. Riposo e soddisfazione sono infatti legati tra loro, ma perché ci siano è necessario che succeda qualcosa. Se durante il tempo della lettura non succede niente, se il libro che leggiamo è un meccanismo vuoto, se la storia che leggiamo non è più grande della testa di chi l’ha scritta, allora non ci può essere soddisfazione (ecco perché in vacanza si cercano avventure piccanti: lì, almeno, qualcosa succede) né riposo.
L’esortazione che faccio ai lettori non è diversa da quella che faccio a me stesso.
Leggete libri difficili, libri importanti capaci di impegnare a fondo la vostra mente. Libri capaci di far scricchiolare i vostri luoghi comuni, e di spalancare la vostra intelligenza. Libri che affrontano problemi veri, scritti da uomini che non hanno paura della complessità del reale - perché farla facile è un po’ come farla franca: non è una cosa umana.
Leggete Alla ricerca del tempo perduto, leggete la Trilogia di Samuel Beckett (e non solo quella di Cormac McCarthy), leggete Musil, leggete Joyce. Portatevi sotto l’ombrellone La democrazia in America di Tocqueville, non abbiate paura della Repubblica, ma quella di Platone. Portatevi sant’Agostino, Aristotele, Nietzsche, Heidegger. Studiate le teorie della complessità, oppure fate come me, che sotto l’ombrellone (dove non mi troverete, perché a me piace leggere con un tavolo davanti) porterò libri come Nascita della biopolitica di Michel Foucault (Feltrinelli) e La scrittura della storia di Michel de Certeau (Jaca Book).
Le vacanze sono un’occasione impareggiabile per lottare contro la stupidità, per incontrare pensieri e lunghezze d’onda diversi, per fare un passo oltre quella facilità che è il presupposto di una vita eterodiretta. In questa lotta sta il vero riposo, come quando, in montagna, si affrontano passeggiate impegnative, che sono sempre le più gustose.
Il gusto della vita non è autococcolarsi, ma uscire da sé, conoscere, imparare.

Per questo le vacanze sono (anche) l’occasione per leggere quei libri grandi, importanti e difficili che durante l’anno non riusciamo nemmeno a toccare. Affrontare le cose difficili è un segno di stima verso se stessi. E se il riposo non alimenta l’autostima, a che serve?

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