«Le vacanze del Papa privilegio di casta»

Il popolo è stanco di brioche e i parroci fanno i conti in tasca ai pontefici. La colpa è di questa storia dell’antipolitica che rimbalza in tv, filosofeggia sui giornali e si stravacca nelle piazze. Quanto spende Benedetto XVI in vacanza? «Un milione di euro, ossia un miliardo di vecchie lire». Don Armando Trevisiol è il vecchio parroco di Carpenedo, un paesotto vicino Mestre. È un prete e non si accontenta delle miserie umane. La sua «rivoluzione qualunquista» punta a San Pietro. «Caro Papa - scrive in un foglietto settimanale distribuito ai fedeli che visitano il cimitero -, le tue vacanze in Cadore sono un privilegio di casta». Don Armando con questa frase benedice il mondo alla rovescia. Il potere è nudo. Se un curato di campagna rimbrotta il Sommo Pontefice la politica non ha scampo. Montecitorio sarà già sotto assedio, senatori e deputati nascosti sotto gli scranni aspettano invano le sirene delle auto blu, i ministri lanciano portafogli dalle finestre e alzano le mani, miracolosamente vuote. L’autorità non ha più indici d’ascolto, share negativi, si chiude lo spettacolo e tutti a casa.
Gesù, dice Don Armando, «non aveva neppure una pietra su cui appoggiare il capo». Il Papa deve dare il buon esempio. Lui per primo, gli altri in coda. La casta è casta e non va rispettata. Dice sempre Don Armando: «Io mi associo allo sdegno della povera gente. E mi indigno davanti a quella categoria di privilegiati, calciatori e giocatori di basket, politici e responsabili di enti pubblici, piloti di Formula 1 e motociclismo». Il buon parroco ha dimenticato veline e velette, presentatori e prestigiatori, cantanti e cantastorie, carnefici e vittime del noir nazionalpopolare. Ma è il principio quello che conta: i miseri, i non famosi, gli oscurati, gli invisibili, i tartassati sono stanchi di una classe dirigente che, come direbbe Cicerone, ha perso auctoritas e dignitas. E così in questa Italia indignata anche il Papa paga pegno.
È la rinascita dell’uomo da bar, legittimato, protagonista, magari anche un po’ invadente. Lo conoscete. È un antico personaggio di tutti i caffè di paese. La domenica mattina è la sua giornata particolare. È seduto nel tavolino più vicino al bancone del barista. Attende. Quando il locale è pieno mette in scena il suo show, discetta di arte e di politica, di calcio e finanza, di gnocche e di corna. La sua filosofia è un manuale di cinismo quotidiano: tutti ladri, tutti bastardi, tutti venduti. Il potere è marcio, la fortuna è dei bari, il successo è sodomita. Don Armando, perlomeno in questa occasione, è un po’ un prete da bar.

E questi sono i suoi cinque minuti di celebrità, merita un reality show, un’isola, una fattoria, un grande fratello, una patente da chierico vagante, una corona da moralista e un saio da Savonarola. Ma caste e «baristi» sono lo specchio di un mondo mediocre. L’antipolitica, come Grillo comanda, è un vestito magico. Regala fama a chi lo indossa. E così sia.

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