«Vado in miniera e non m’importa di vincere l’Oscar»

In «North Country» interpreta Josey Aimes, la lavoratrice che nel 1978 intentò la prima causa per molestie sessuali degli Stati Uniti: «La statuetta non ti cambia la vita, quello che conta è credere nei film che si fanno»

«Vado in miniera e non m’importa di vincere l’Oscar»

Pedro Armocida

da Roma

«L'Oscar non ti lava i piatti, non ti cambia la vita». È questa la curiosa associazione di idee di Charlize Theron alla fatidica domanda se qualcosa sia cambiato dopo la conquista dell’ambita statuetta nel 2004 con il personaggio della serial killer di Monster. Ma se all'ex modella sudafricana, che molti ricorderanno in un celebre spot della Martini in cui un filo birichino della gonna svelava le sue grazie posteriori, piace molto giocare sulla dicotomia star hollywoodiana - ragazza semplice, il suo incontro con la stampa italiana non è stato dei più cordiali. Per il lancio promozionale di North Country - Storia di Josey diretto da Niki Caro, in uscita venerdì prossimo in Italia, la trentenne attrice, stretta in una lunga gonna bianca con sopra una camicetta nera, dopo essere stata ospite a Domenica in ha dedicato una frettolosa chiacchierata con i giornalisti di appena venticinque minuti conclusosi con un liberatorio sospiro, come da scampato pericolo, non perfettamente intonato con una bellezza così elegante e leggiadra.
Peccato perché il ruolo di Josey Aimes, per cui è nuovamente candidata all'Oscar come protagonista («la cosa bella è vedere come film considerati rischiosi vengano poi premiati»), è, dopo quello di Monster, il più importante della sua carriera. Storia di una madre sola e con due figli da mantenere che, dopo il fallimento del matrimonio, torna dai genitori nel Minnesota e inizia a lavorare in una miniera dove, oltre al duro lavoro, deve subire attenzioni maschili non richieste. Contro tutto e contro tutti Josey inizierà una dura battaglia che la porterà in tribunale nella prima azione legale per molestie sessuali degli Stati Uniti.
Ispirato a una storia vera del 1978, quando le prime donne iniziarono a entrare nelle miniere, North Country è secondo Charlize Theron «un film attualissimo, non solo perché la vicenda giudiziaria si è conclusa positivamente nel 1998, un passato recentissimo, ma anche perché di questi casi di molestie sessuali è piena la cronaca. In tanti studi legali di Chicago e New York giacciono decine di denunce. Il mio contributo è stato quello di cercare di arrivare il più possibile vicina alla verità». Come per Monster, e contrariamente dalla fumettistica eroina supersexy con i capelli a caschetto nero corvino di Aeon Flux (al cinema dal 24 febbraio), anche in North Country la Theron non appare in tutto il suo splendore. Il bel corpo nascosto dalle tute da lavoro, il volto nero di fuliggine, i capelli biondi infilati in pratici bandana. Una mise che non le ha creato nessun problema perché, confida, «non mi interessa se un ruolo sia o non sia da bellona , ciò che conta è il personaggio che devo interpretare. Così se un film è come questo, in cui un argomento con rilevanza sociale è trattato anche con gusto dello spettacolo, io faccio di tutto per esserci». Versione in parte confermata dalla regista neozelandese Niki Caro che, dopo l'applaudito La ragazza delle balene, si è trovata a lavorare ad Hollywood. «Forse sono stata un po' ingenuotta - rivela - perché quando sono andata a parlare con gli studios mi hanno chiesto chi volessi come attori. Io ho fatto i nomi del mio cast ideale: Charlize Theron, Sean Bean, Frances McDormand (anche lei candidata all'Oscar come non protagonista, ndr), Woody Harrelson e Sissy Spacek. Loro hanno detto: “Bene, sono persone fantastiche, ora va’ da loro e convincile”. E così ho fatto». E come ogni produzione hollywoodiana che si rispetti, basata su fatti reali, ecco che gran parte degli attori si è spostata, prima di girare, nel gelido Minnesota ad acclimatarsi.

«È stato fondamentale per rendere il film veritiero», ricorda Charlize Theron che poi aggiunge: «Sono entrata in questo mondo stando a stretto contatto con le minatrici. “Grazie perché ci avete restituito la dignità” è stato il loro complimento più bello».

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