Stile

Dalla Val d'Aosta al Tirolo le mete gourmet ad alta quota

A Bolzano il primato di stellati con 19 locali (e 23 stelle) Una regola per tutti: ingredienti naturali e tipici delle varie zone con rivisitazioni raffinate

Maurizio BerteraLa montagna non sarà più quella di una volta, vista la scarsità di neve. Fortunatamente, i ristoranti delle zone alpine non soffrono in qualità e di «artificiale» non hanno nulla. Ma proprio come capita per il mare, anche in montagna bisogna dividere nettamente i locali turistici puri (che se seguono il territorio e la tradizione, non deludono le attese) da quelli gourmet a cui dedichiamo l'articolo. Molti di questi si trovano all'interno di strutture alberghiere, con i vantaggi che ne conseguono, e non si dimenticano ovviamente del contesto culinario e enoico dove operano. Detto che Piemonte e Friuli - per le guide ma non solo restano fuori dal circuito top, va sottolineato che dalla Valle d'Aosta all'Alto Adige ci sono pochi punti di contatto per la cucina di montagna: la selvaggina in stagione, qualche pesce d'acqua dolce (salmerino in primis), la polenta in varie ricette ovviamente e l'utilizzo di formaggi tipici. In due regioni è chiara l'influenza delle aree confinanti: molti piatti simbolo della cucina valdostana (vedi soupe à la valpelleneintse, carbonade, fondue, truite au bleu, tartiflette...) sono simili o uguali a quelli dell'Alta Savoia o comunque delle Alpi francesi come è minima la differenza tra certi menu altoatesini e quelli del Tirolo austriaco. Anche se quest'ultimo caso è emblematico di come unendo la forte tradizione locale e l'innovazione pura - spesso dovuta a cuochi di altre regioni - si possa diventare meta gourmet: pensiamo a Nicola Laera (Stua de Michil) o Matteo Metullio (La Siriola) che non sfigurano di fronte a sudtirolesi doc come Herbert Hintner (Zur Rose), stella Michelin dal '95 o Peter Girtler (Gourmetstube Einhorn), uno dei due soli nuovi bistellati. Non è un caso, quindi, che l'ultima Guida Rossa Michelin, abbia confermato il primato di Bolzano tra le province italiane con 19 locali, per un totale di 23 stelle.Il più famoso è il due stelle St. Hubertus, ristorante all'interno del Rosa Alpina di S. Cassiano, regno di Norbert Niederkofler, chef esperto e maestro riconosciuto: uno dei suoi allevi è Eugenio Boer, rivelazione della stagione a Milano con Essenza. «Niente come la cucina di montagna è fatta di ingredienti naturali, di rispetto per l'ambiente e di insegnamenti ricevuti dai più anziani spiega Niederkofler nel menu seguo questi principi, reinterpretandoli per incontrare i gusti e i desideri dei clienti di oggi, con un tocco d'autore. Ma il burro è sempre fatto in casa, come la carne è solo quella dei miei amici allevatori». Niederkofler non è solo un vero artista (Ravioli ripieni con liquido di caprino, anguilla affumicata e chips di pino mugo al limone; Risotto d'orzo con verbena odorosa; Filetto di manzo in crosta di sale con fieno di montagna; Luccioperca leggermente affumicato con ricotta, rape e cumino selvatico; Strudel di mele destrutturato...) ma anche il promotore di Cook The Mountain, progetto volto alla ricerca e valorizzazione della gastronomia ad alta quota, non solo in Italia, andando ben oltre i pur buonissimi knodel (i canederli) e spatzle (gnocchetti verdi), le zuppe e i dolci tradizionali. In Trentino, dove la cucina non si discosta molto da quella dei vicini, un altro caso emblematico del cambio di marcia tra le nevi, è quello del Dolomieu a Madonna di Campiglio: stella Michelin da un paio di anni, è affidato a Enrico Croatti, talento riminese che non mostra paura: Trippa con seppie e bietole, Rigatoni ai ricci e testicoli di toro, Maialino con mazzancolle porchettate. Anche sulle Alpi Bellunesi, regno di polenta e piatti a base di fagioli, c'è fermento: insieme ai classicissimi Dolada o Laite, c'è la nuova stella di Aga, a San Vito di Cadore, dove la coppia (in cucina e nella vita) formata da Oliver Piras e Alessandra Del Favero provoca con Steak tartare vegana, Brodo al sambuco con bottoni di melanzane, Storione rape e bitter con burro acido, Pepe nero mela verde e caramello. Chiudiamo con la Valtellina che ha esportato ovunque i pizzoccheri e la bresaola ma fa godere anche con gli sciatt (le frittelline di formaggio fuso, hanno dato nome a una piccola catena di street food a Milano) e il taroz (puré di patate, fagioli e fagiolini conditi con burro e formaggio). Anche qui, a fianco di ristoratori storici e bravissimi come i Tonola della Lanterna Verde, c'è una new wave di cuochi locali (Stefano Masanti de Il Cantinone e Gianni Tarabili de La Prèsef) e un ragazzo del Sud Antonio Borruso che propone piatti di sintesi valtellinese-napoletana: Sciatt di baccalà, carpaccio di peperoni rossi e mascarpone al basilico; Pizzocchero sferico con grano saraceno croccante; Linguine di Gragnano con carbonara di bresaola e polvere di porcini, Gelato ai frutti di bosco ed essenze balsamiche. Una fusion italianissima a oltre 1.200 metri.

La cucina in montagna (e non solo di montagna) regala anche emozioni così.

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