In Val di Susa la sinistra travolta dall’alta velocità

Tre partiti, tre linee diverse: il vento, in questo caso, non è affatto cambiato. Anzi. Di fronte alla guerriglia in Val di Susa la coalizione di centrosinistra si divide e si frantuma proprio come ha sempre fatto negli ultimi diciassette anni: da una parte i riformisti, dall’altra i rivoluzionari. Che poi la rivoluzione, in questo caso, consista nell’impedire la costruzione di una linea ferroviaria fa certo sorridere, ma non è, purtroppo, una novità: negli anni ’70 il Pci combattè fieramente contro la televisione a colori. Oggi tocca alla locomotiva, che non è più, come cantava Guccini, «un mito di progresso lanciato sopra i continenti», ma uno spietato strumento del grande capitale tecnocratico per distruggere - parola di Nichi Vendola - «il territorio e le comunità della Val di Susa».
Peccato. Per un attimo ci avevamo creduto. Per un attimo, dopo le vittorie di Milano, di Napoli e dei referendum, avevamo creduto che il «nuovo» centrosinistra fosse davvero nuovo, e che la distinzione fra radicali e riformisti fosse finalmente superata. Ce lo aveva detto Bersani, ce lo aveva ripetuto Vendola, e Di Pietro s’era persino improvvisato capo dei moderati e vigile guardiano dell’incompiutezza riformista del Pd. E invece non era vero niente. La sinistra italiana, purtroppo, è la stessa di sempre: divisa, rissosa, culturalmente arretrata nella sua parte «antagonista», politicamente inaffidabile e, dunque, incapace di assumersi una seria responsabilità di governo.
Immaginiamo infatti che a palazzo Chigi oggi ci sia Bersani. Che cosa accadrebbe in Val di Susa? Le forze dell’ordine, mandate da un ipotetico ministro dell’Interno del Pd per far rispettare la legge e consentire al cantiere di riprendere i lavori (e di non perdere i finanziamenti europei), si troverebbero di fronte i ministri di Sinistra e libertà impegnati, se non nella guerriglia, certo nella solidarietà ai manifestanti. Aver mandato all’ospedale 25 poliziotti «che sono lì per garantire l’esecuzione di un’opera pubblica decisa nelle sedi istituzionali democratiche» e che «fanno il loro mestiere e difendono la legge e la Costituzione» (citiamo le parole di Emanuele Fiano, «ministro dell’Interno» del Pd) diventa, per Vendola, l’espressione di un «dissenso legittimo» minacciato dalla «violenza» e dalla «repressione».
Quanto a Di Pietro, il cerchiobottismo sembra ormai diventato la sua mediocre cifra politica: le infrastrutture sono «fondamentali» - il leader dell’Italia dei valori è un riformista moderno, perbacco! - ma «noi stiamo senza se e senza ma con i diritti delle persone» (tranne quelle, bisognerebbe aggiungere, che vengono intercettate, inquisite e arrestate senza motivo). Non scherziamo. Dipingere i manifestanti come vittime inermi di una macchina burocratico-poliziesca che distrugge «il territorio e le comunità» significa firmare una cambiale in bianco per tutte le violenze a venire, che troveranno sempre una giustificazione più o meno convincente, più o meno «rivoluzionaria», più o meno utile a guadagnare le luci della ribalta e gli applausi di qualche intellettuale sessantottino invecchiato male.
Oltre all’ingiustificabile giustificazione della violenza, c’è però un secondo aspetto - che riguarda Sinistra e libertà, l’erede legittimo di Rifondazione comunista - che in un certo senso è persino più grave. L’Italia ha bisogno di infrastrutture moderne ed efficienti, di una rete di trasporti a livello europeo, di un piano di sviluppo che colmi le lacune e i ritardi e proietti il nostro Paese, per quanto possibile, nel futuro, anziché lasciarlo sprofondare nell’arretratezza bucolica cui i talebani dell’ambientalismo e dell’antagonismo vorrebbero condannarlo. Da questo punto di vista, il valore simbolico dell’alta velocità - non va dimenticato che la sinistra ha sempre contestato il proliferare delle autostrade, giudicando la ferrovia più utile allo sviluppo e meno inquinante - è a dir poco devastante, perché segna una regressione culturale profonda e probabilmente incolmabile.
Rifletta Bersani su quanto sta accadendo.

Gli scontri in Val di Susa e le polemiche che ne sono seguite dimostrano oltre ogni ragionevole dubbio che «antagonisti» e «riformisti» non possono convivere in una stessa coalizione, né tantomeno in uno stesso governo. Come del resto è sempre accaduto in Italia. Errare è umano, ma perseverare è diabolico.

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