Valeria Solarino: "Io, spia nel Grand Hotel"

Avrò la cinepresa puntata su di me per novanta minuti: mi esalta come a teatro col pubblico davanti

Valeria Solarino: "Io, spia nel Grand Hotel"
Roma - Nel pattuglione italiano a presidio della Mostra, Valeria Solarino, l’attrice classe 1979, che avrà gli occhi addosso per un’ora e mezzo (tanto l’unico piano-sequenza su di lei nel docufilm di Salvatore Maira Valzer, il 3 settembre alle Giornate degli Autori), occupa la prima fila. Non solo l’interprete di origine siculo-venezuelana,amata da autori quali Alessandro D’Alatri (La febbre) e Roberto Andò (Viaggio segreto), va al Lido con un singolare «trionfo narcisistico, il massimo che si possa desiderare», dice dalla sua casa ai Parioli, ma siede anche nella Giuria delle Opere Prime, quindi assegnerà il Premio De Laurentiis, centomila euro d’incoraggiamento al più bravo esordiente. Reduce da Torino, dove ha terminato Signorina F. di Wilma Labate, nel ruolo d’impiegata d’ordine in Fiat, ai tempi della contestazione sindacale, la Solarino, al Lido in Dolce&Gabbana per la serata di premiazione, girando con Maira ha visto i sorci verdi.

Come si fa a recitare 90 minuti con la cinepresa puntata addosso?
«Neanche a teatro succede d’avere il pubblico tutto per sé: la cosa mi esalta. Ma ho pagato pegno: per non perdermi all’Hotel Santo Stefano, una sequela di corridoi, sale, doppi ingressi, dove si aggirava la clientela normale, mi portavo appresso la planimetria dell’albergo. Senza, mi sarei persa. Maira, dal garage ai piani alti, mi dava appuntamento: al terzo piano, nella stanza numero tot, scivola via, aspetta la cinepresa. Mi aiutavo guardando la spia rossa dell’ascensore e contando i piani».

Ancora un ruolo da lavoratrice: stavolta è la cameriera Assunta, che sente di scandali tra vallettopoli e calciopoli...
«Ma la storia centrale è tra un padre e una figlia che non si trova. Portando vassoi ai clienti, ascolto casualmente la conversazione di alcuni dirigenti di calcio, che truccano le partite; osservo modelle al lavoro, sento il padre disperato, insomma entro ed esco dalle esistenze altrui. La nostra vita, in fondo, è un piano-sequenza».

Mai pensato a qualche classico del cinema anni Trenta, con i Grand Hotel luoghi d’incontro di varia umanità?
«Magari per quella divisione tra i piani alti, dov’è la gente ricca, con un look colorato e smaltato e il mondo di sotto, dove stanno i camerieri e tutto è grigio e spartano. Io indosso una gonna nera e una camicia bianca, porto i capelli raccolti: l’effetto è di massima semplicità, perché non devo giudicare, ma registrare gli eventi».

Spaventata dalla prova d’attrice?
«No. La storia è bella, anche se tecnicamente difficile. È uno sguardo sulla società malata, ma non si tratta d’un film di denuncia».

Il prossimo

impegno?
«Nel Viterbese. Per girare Holy Money (Sacro denaro), film franco-belga di Maxime Alexandre, dove salgo di categoria: sarò proprietaria d’una locanda, dove arriva un ragazzo inglese, che ha ereditato una vigna».

Da giurata, a che cosa baderà di più?
«All’energia del film. Non a caso, amo lavorare con i registi esordienti, mai stanchi, mai annoiati come i colleghi più famosi».
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