Il Vangelo, questo sconosciuto

Mario Palmaro

Il Codice Da Vinci - il romanzo di Dan Brown che ha venduto 40 milioni di copie in tutto il mondo e che adesso sbarca nei nostri cinema sottoforma di kolossal confezionato negli States - dimostra tre cose. La prima: attaccare la Chiesa cattolica è un business molto redditizio. Dire male di Cristo, del Papa e dell’Opus Dei è facile come sparare sulla Croce rossa. Non si rischia niente e si vende molto. Se Dan Brown avesse partorito un romanzo in cui si oltraggiava qualche personaggio del passato - chessò, Garibaldi o Napoleone - avrebbe rischiato una bella querela e l'accusa di cialtroneria storica. Invece, ha preferito puntare tutto sulla figura di Gesù Cristo, il Figlio di Dio, mirando al cuore stesso della Chiesa. Un colpo da maestro. Perché, così facendo, da un lato ferisce la sensibilità di decine di milioni di persone; dall’altra, solletica la curiosità morbosa di altrettanti lettori - spessissimo pure «cattolici» - che, dandosi di gomito, cominciano a comprare il libro e a discutere delle sensazionali rivelazioni che - secondo il romanzo - spiegano tutta la verità sulla Chiesa e su Cristo. In realtà, sappiamo bene come stiano le cose: Il Codice da Vinci è costruito su un cumulo di menzogne, di banalità, di errori. Una vera e propria summa di ignoranza beluina applicata alle cose della fede, della storia antica e medioevale. Sarebbe come se qualcuno, per scrivere un romanzo giallo, sovvertisse i principi della termodinamica, o capovolgesse le acquisizioni dell’anatomia moderna: fisici e scienziati insorgerebbero, in nome dei lumi oltraggiati e offesi. Siccome però qui l’obiettivo nel mirino è il Papa, è la Chiesa cattolica, allora si digerisce tutto. Il che ci conduce alla seconda lezione che ci viene da questa vicenda: l’impressionante ignoranza di molta parte dei cristiani. Se Dan Brown ha potuto collezionare questo imponente successo editoriale, ciò è dovuto innanzitutto al totale sbandamento dottrinale e culturale in cui versa tanta parte del popolo cattolico. Siamo in moltissimi a dichiararci cattolici, ma poi, di fronte alla più banale domandina di catechismo, riveliamo un’ignoranza vergognosa. È accaduto qualche cosa, negli ultimi quarant’anni, che ha come «interrotto» la trasmissione del deposito della fede fra le generazioni. Non è un problema di lauree o di alfabetizzazione: i vecchi contadini dell’Agropontino conoscevano meglio il Vangelo di molti «cattolici adulti» a noi contemporanei. Terza e ultima considerazione: alcuni liquidano le critiche al Codice, dicendo che, «in fondo, è solo un romanzo». Già. Allora, proviamo a immaginarci un romanziere che si inventasse una storia in cui la shoah non è mai esistita, i lager sono un set cinematografico costruito dagli americani per gettare fango sul nazismo, e Hitler è un brav’uomo ingiustamente oltraggiato dalla propaganda dei vincitori. Voi pensate che un libro simile verrebbe pubblicato da Mondadori? Che ne farebbero un film di successo? E che i giornali e le Tv italiane si limiterebbero, alzando le spalle, a liquidarlo come «un’opera di fantasia»? C’è una verità teologica, dietro a questa storia: dopo duemila anni, Gesù rimane nel mezzo della scena del mondo, oltraggiato e coperto di sputi. Proprio come nelle terribili e realistiche scene di The Passion di Gibson.

E noi, oggi come allora, non possiamo restare dei semplici spettatori: dobbiamo scegliere.

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