«Che il Signore l’accolga e perdoni chi l’ha portata a questo punto...». Sono pietose e al tempo stesso pesanti come un macigno le prime parole che dal Vaticano, per bocca del «ministro della Salute» cardinale Javier Lozano Barragan, accolgono la notizia che Eluana se n’è andata. Pietose per lei, povera creatura che ha trovato comunque la pace dopo 17 anni di calvario; e terribili per chi, combattendo la battaglia per l’interruzione di nutrizione e idratazione, ha fatto sì che il suo respiro si spegnesse.
Non accusa, il porporato. Dice, sì, che se l’intervento umano dovesse risultare decisivo per la fine di Eluana lui continuerebbe «a ritenerlo un delitto». Ma da sacerdote, invoca perdono e misericordia divina anche per chi ha deciso che non dovesse continuare a soffrire: «Quello che ci resta ora – dice ancora il presidente del Pontificio Consiglio per la Salute – è raccomandare al Signore Eluana Englaro, affinché le apra le porte del cielo, a lei che ha sofferto tanto in terra. Il Signore le apra le sue braccia e le porte del Paradiso. Affidiamo alla misericordia di Dio chi ha fatto questa scelta. In questo momento dobbiamo avere uno spirito di perdono e riconciliazione, non avviare polemiche Eluana è diventata un simbolo. Ci ha fatto riflettere sul valore della vita, sul rispetto della malattia perché ogni esistenza non è negoziabile».
La vita. Sacra e da difendere. Proprio ieri Papa Benedetto XVI lo ha ricordato ancora una volta, al nuovo ambasciatore del Brasile Luiz Felipe Seixas Correa, dal quale ha ricevuto le lettere credenziali, sottolineando la necessità di tutelare i valori fondamentali e in particolare «la salvaguardia del nascituro, dal momento del concepimento fino al suo termine naturale». Non ha citato espressamente Eluana, il Pontefice, mentre le polemiche impazzavano. Ma ha pregato per lei, pur senza nominarla, domenica scorsa all’Angelus, invocando il sostegno per i malati totalmente dipendenti dagli altri, specie quelli più gravi. Come lei.
Suonano pesanti e cariche del dolore di chi si sente impotente di fronte all’epilogo della vicenda le parole dei vescovi italiani, affidate ad una nota della Cei: «Facciamo appello a tutti – scrivono – perché non venga meno la passione per la vita umana, dal concepimento alla sua fine naturale. Siamo affranti in questa grave circostanza, ma non viene meno la speranza, che nasce dalla fede e consegna alla misericordia del Padre Eluana, la sua anima e il suo corpo. In questo momento di grandissimo dolore affidiamo al Dio della vita Eluana Englaro. Le preghiere e gli appelli di tanti uomini di buona volontà non sono bastati a preservare la sua fragile esistenza, bisognosa solo di amorevole cura. È questa speranza a renderci una cosa sola, accomunando quanti credono nella dignità della persona e nel valore indisponibile della vita, soprattutto quando è indifesa». Duro Avvenire, il quotidiano della Cei, che ha aperto il suo sito internet con «Eluana è morta, giustizia è fatta. Non ha sopportato la mancanza di cibo e acqua».
Condanna e preghiera, condanna e preghiera il leit-motiv dei commenti ecclesiastici. Ma soprattutto preghiera. Proprio alla preghiera ha invitato l’arcivescovo di Milano, cardinale Dionigi Tettamanzi, che appena appresa la notizia si è raccolto con i vescovi, riuniti a Rho in occasione della conferenza episcopale lombarda. A Lecco la veglia per la vita si è trasformata in una commemorazione. E a Udine, dove Eluana è morta, aperte le porte della basilica.
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