Vaticano

"Il mio amico Joseph ormai voleva morire. Bergoglio lascerà? Niente è già fissato"

Il cardinale e il legame con Ratzinger durato 60 anni: "La vita per lui era finita"

"Il mio amico Joseph ormai voleva morire. Bergoglio lascerà? Niente è già fissato"

Un'amicizia durata sessant'anni; due teologi, entrambi tedeschi. «Le dimissioni di Ratzinger segnano un nuovo passo nella storia del Papato». La santità? «Aspettiamo, non sono fautore del santo subito». «Alla fine dei suoi giorni era debole, era stanco...voleva morire». Parla al Giornale il cardinale Walter Kasper, 89 anni, dal 2001 al 2010 presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani. L'uomo che, con Benedetto XVI ha tessuto le fila del dialogo con le altre confessioni religiose. È stato tra i primi cardinali a recarsi nella Basilica di San Pietro per rendere omaggio alla salma del Pontefice emerito, suo connazionale e suo amico.

Eminenza, che rapporto c'era con Joseph Ratzinger?

«Ci siamo incontrati la prima volta 60 anni fa, prima come professori di teologia, poi come vescovi in Germania (Kasper è stato vescovo di Stoccarda dal 1989 al 1999, Ratzinger arcivescovo di Monaco e Frisinga dal 1977 al 1982, ndr), infine qui a Roma. Abbiamo collaborato insieme, abbiamo anche avuto qualche discussione e accesi dibattiti, come avviene spesso tra teologi, ma c'è stato sempre un rapporto di fiducia e amicizia. Quella non è mai venuta meno, anche con visioni alcune volte diverse. È un grande Papa, oggi possiamo essere fieri di averlo avuto al Soglio di Pietro».

Che eredità lascia Benedetto XVI?

«Penso che abbia lasciato tracce nella storia della Chiesa, per i suoi scritti teologici e spirituali, e soprattutto per la sua decisione coraggiosa di rinunciare al ministero petrino. Il suo gesto ha rappresentato e rappresenta ancora oggi un nuovo passo nella storia del papato, è segno di una grande libertà interiore. È il segno di poter determinare la rinuncia quando ci si accorge che non si hanno più le forze per rispondere a questa missione».

Un gesto, quello della rinuncia, che potrebbe essere ripetuto anche Papa Francesco?

«Si sì, ma non è niente di fissato. È però un segno di libertà, e il gesto di Benedetto XVI ha aperto una nuova strada. Adesso spero di incontrare nuovamente il mio amico Ratzinger in Cielo. Preghiamo per lui».

Con la morte di Ratzinger se ne va l'ultimo testimone del Concilio Vaticano II.

«Sì, è stato uno degli ultimi testimone vivente del Concilio, è stato molto attivo, ha avuto un grande influsso sui documenti fondamentali del Concilio Vaticano II». Lo avremo presto santo? «Non sono troppo favorevole al santo subito. Credo che serva sempre un po' di tempo, il tempo ci insegna molte cose. Poi, vedremo... se sarà possibile».

Eminenza quando aveva incontrato il Papa emerito l'ultima volta?

«Mi ha scritto una lettera datata il 10 dicembre, venti giorni prima della sua morte. Una lettera scritta al computer ma firmata di suo pugno, in cui mi diceva che era molto contento del mio ultimo libro. Un gesto di apprezzamento per il mio lavoro. Alla fine della sua vita, il Papa emerito era molto debole, non parlava più. Voleva morire... Ma è normale a quell'età, la vita era finita per lui. È morto nella sua casa».

Eminenza si aspettava tutta questa folla a San Pietro per rendergli omaggio?

«No, a dire la verità non me l'aspettavo, è un buon segno. C'è molta più gente di quanto si potesse pensare. E non solamente fedeli che lo hanno apprezzato durante il Pontificato».

C'è un incontro speciale con Benedetto XVI che vuole ricordare?

«Ho moltissimi ricordi, ma soprattutto ricordo con commozione il momento in cui Joseph Ratzinger è stato eletto Papa, all'interno della Cappella Sistina, al Conclave. Appena sono andato da lui, gli ho domandato come dovessi rivolgermi a lui d'ora in avanti, se potevo continuare a dargli del tu. E lui mi ha risposto: Certamente, continua pure a darmi del tu.

Era un uomo semplice, alla mano, umile, silenzioso, molto gentile, ha portato tanto alla teologia e alla spiritualità».

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