
Ricucire, capire, eventualmente perdonare. Papa Leone XIV mette in pratica la misericordia predicata da Francesco. Lo fa ricevendo stamane in udienza il cardinale Angelo Becciu, l’ex sostituto per gli Affari generali della Segreteria di Stato ed ex prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, condannato a cinque anni e sei mesi per la presunta malagestio dei fondi della Santa Sede e considerato (a torto, secondo molti) il simbolo del lato oscuro del Vaticano.
Per quella condanna da cui si proclama innocente, vittima di una macchinazione che trova ogni giorno più conferme, Becciu si era auto escluso da un Conclave al quale aveva più che diritto a partecipare. Lo aveva fatto ufficialmente in ossequio alla volontà di Papa Francesco, espressa in due lettere successive alla cacciata di Becciu dala Curia del 2020 ed esibite fuori dal Conclave a pochi intimi dal Segretario di Stato Pietro Parolin, sulla cui autenticità aveva espresso qualche dubbio persino il cardinale Giuseppe Versaldi, prefetto emerito della Congregazione per l’educazione cattolica ed ex presidente della Prefettura degli affari economici della Santa Sede, uno dei tanti favorevoli alla sua partecipazione al Conclave («finché non c’è la sentenza definitiva uno è innocente»), anche lui convinto come tanti in Vaticano che dietro la condanna per peculato senza pecunia - lo dice la sentenza, Becciu non ha intascato una lira per sé - ci sia stato un complotto.
Lo dicono le chat via whatsapp desecretate e senza omissis pubblicate nelle scorse settimane dal Domani (e intercettate anche dal Giornale) tra il Promotore di Giustizia Alessandro Diddi (pm del processo all’ex sostituto), la lobbista Francesca Immacolata Chaouqui voluta da Francesco nella Commissione per la trasparenza finanziaria Cosea nel 2013 e condannata nel 2017 a 10 mesi per rivelazione di notizie riservate nel processo Vatileaks II e infine Genevieve Ciferri, sodale e amica del supertestimone Alberto Perlasca, diventato in una notte da collaboratore a spietato accusatore. Sarebbero loro ad aver imbeccato Perlasca.
Sono le conversazioni acquisite dal relatore speciale dell’Onu Margaret Satterhwaite, a capo dell’ufficio che vaglia l’indipendenza dei giudici all’interno dei processi, su denuncia dei legali del finanziere italo-inglese Raffaele Mincione, anch’egli condannato dal Vaticano (ingiustamente, dicono i giudici inglesi a cui si è rivolto) per la presunta speculazione finita male dietro la compravendita del palazzo di Sloane Square a Londra. In quelle conversazioni si parla di un memoriale che sarebbe stato preparato a tavolino da Diddi e da due persone estranee al processo per incastrare Becciu e salvare altri, non solo Perlasca.
Chi ha seguito il processo ha capito subito che quella non era farina del sacco dell’ex braccio destro dell’alto prelato sardo, più volte «stanato» dalle domande dei legali di Becciu Fabio Viglione e Maria Concetta Marzo. All’inizio delle indagini era stato interrogato per 11 ore dal Promotore di giustizia, gli erano stati sequestrati i conti presso Ior e banche italiane, era stato sollevato dal suo incarico di Promotore aggiunto presso la Segnatura, allontanato da Santa Marta, con cittadinanza e stipendio revocati. Una volta consegnato Becciu ai giudici con questo dossier, Perlasca è finito assolto da tutte le accuse e riabilitato in Vaticano con un incarico di prestigio e i conti dissequestrati, a differenza dell’ex prefetto della Congregazione delle cause dei Santi Becciu. Amen.
Di «criticità macroscopiche nella gestione del processo» ce ne sono decine, come il peso dei quattro «rescripta» pontifici che hanno modificato la legge a processo in corso, come ha più volte ribadito Geraldina Boni, ordinaria di Diritto ecclesiastico all’Alma Mater di Bologna, già autrice di un parere pro veritate che ha messo in luce la deriva giustizialista di questo processo, piene di «zone d’ombra» e di «bizzarre asserzioni, frutto di incompetenza canonica» da parte dei magistrati del Papa. Altro che «giusto processo», secondo la studiosa ci sarebbe stata persino un’interferenza dei giudici con «il diritto divino naturale», con «rischi concreti per lo Stato pontificio stesso» e senza che la condanna avesse compromesso il diritto di Becciu a partecipare al Conclave.
Come ha scritto il Giornale c’è un’indagine su queste e su altre conversazioni «perse», omissate e mai acquisite a processo, vedi gli 8 messaggi su 126 di una particolare chat resi estensibili alle parti dal tribunale vaticano presieduto all’epoca da Giuseppe Pignatone, diventato cittadino di Sua Santità assieme allo stesso Diddi, qualche giorno prima della sentenza di condanna di Becciu, grazie a un motu proprio del Papa scoperto in anticipo dal «Giornale», che ha permesso loro di cumulare anche stipendio e pensione vaticana con gli emolumenti italiani.
Ci sarebbe anche un filone sulla possibile subornazione del testimone e su diverse potenziali false testimonianze. «Se viene fuori che eravamo tutti d’accordo è la fine», «il processo a Becciu è nullo», si dicono le due donne.