Fumata bianca

"Questo Papa è di sinistra". L'affondo dell'ex uomo di Trump

Mike Pompeo attacca Francesco e la sua politica estera. Una strategia per conquistare il voto dei cattolici conservatori?

"Questo Papa è di sinistra". L'affondo dell'ex uomo di Trump

Mike Pompeo scalda i motori in vista delle primarie repubblicane per le presidenziali del 2024 con un libro (dal titolo Never Give an Inch: Fighting for the America I Love) che non risparmia un duro attacco alla politica estera di Papa Francesco.

L'ex segretario di Stato degli Stati Uniti d'America dedica addirittura un capitolo a quella che chiama "l'ipocrisia della Santa Sede" con cui avrebbe fatto i conti nel corso del suo mandato durato dal 2018 al 2021. Per Pompeo "la politica estera del Vaticano ha sempre propeso verso sinistra" e il riferimento va soprattutto all'atteggiamento verso la Cina dimostrato durante questo pontificato. Non è un mistero che il politico repubblicano ha sempre avversato l'accordo provvisorio sino-vaticano sulla nomina dei vescovi stipulato il 22 settembre 2018 al punto da prendere posizione pubblica in un articolo su First Things del settembre 2020 e chiedere alla Santa Sede di non rinnovarlo per non mettere "in pericolo la sua autorità morale".

Quell'intervento del segretario di Stato Usa in carica provocò un grande gelo con il Palazzo Apostolico tant'é che pochi giorni dopo, in occasione della sua visita a Roma, il Papa si rifiutò di incontrarlo. La motivazione ufficiale fu l'inopportunità di ricevere autorità politiche che si trovano in campagna elettorale. Ma Pompeo - che all'epoca si preparava alle presidenziali del 3 novembre 2020 conclusesi con la contestata sconfitta di Donald Trump - non deve aver creduto a questa motivazione e più di due anni dopo ritorna su quei fatti per un giudizio piuttosto netto sul Pontefice argentino. "Reagan aveva avuto come alleato Giovanni Paolo II, noi eravamo incartati con Papa Francesco", scrive l'ex direttore della Cia.

L'alta tensione tra Usa e Santa Sede

Chi era presente, ricorda bene il clima teso tra i rappresentanti della Segreteria di Stato vaticana e quelli dell'amministrazione statunitense nel corso del simposio sulla libertà religiosa organizzato il 30 settembre 2020 dall'ambasciata Usa presso la Santa Sede nell'hotel romano Excelsior. Il segretario per i rapporti con gli Stati, monsignor Paul Richard Gallagher non nascose la sua irritazione nei confronti dell'allora omologo americano e lo accusò di voler strumentalizzare il Papa in vista delle elezioni, confermando che quello era anche uno dei motivi per cui Bergoglio non lo aveva voluto ricevere.

Dal canto suo, Pompeo non arretrò e ribadì anche in quell'occasione la necessità di "opporsi ai regimi tirannici" e "sostenere quanti si battono per la libertà religiosa, secondo l'insegnamento di Giovanni Paolo II". Leggendo oggi le pagine del suo libro sembra trovare conferma la ricostruzione di chi interpretò quel richiamo al santo polacco - passato alla storia anche per il suo anticomunismo - come un tentativo di contrapporlo alla politica dialogante con Pechino portata avanti da Francesco. Non a caso, riporta anche Repubblica, il segretario di Stato Usa dell'amministrazione Trump rivela anche che "uno dei miei grandi alleati era il cardinale Joseph Zen" il quale in una telefonata, parlando della situazione delle libertà civili ad Hong Kong, gli disse "che il fallimento del Vaticano è stato peggiore della guerra". Zen è stato il più grande critico dell'accordo sulla nomina dei vescovi, solo di recente ricevuto da Francesco in udienza privata dopo un clamoroso rifiuto avvenuto nello stesso periodo del viaggio romano di Pompeo.

La corsa alla Casa Bianca

Tra le critiche rivolte dal politico repubblicano al Papa, anche la rievocazione di un loro incontro del 2019 durante il quale Bergoglio "riconobbe che le persone del mondo erano perseguitate ma poi cambiò soggetto, sollecitando gli Usa ad allineare le loro politiche sul confine meridionale alla chiamata cristiana di aiutare i più deboli". "Proprio non capiva l'argomento", è il lapidario giudizio di Pompeo. Difficile che le sue parole al vetriolo sull'attuale pontificato possano pregiudicargli consenso nella base repubblicana di fede cattolica in caso di sua eventuale partecipazione alle primarie. Anzi. Non è un mistero, infatti, che Francesco sia poco amato tra i conservatori americani. Lo scontro a distanza che il Papa ebbe con Donald Trump durante la sua corsa presidenziale nel 2016, quando di ritorno dal viaggio in Messico definì "non cristiano" chi pensa di costruire muri beccandosi la reazione stizzita del tycoon che lo accusò di fare politica, non compromise il consenso dei cattolici non progressisti poi determinante per l'elezione alla Casa Bianca.

Al contrario, il malcontento nei confronti dell'attuale pontificato emerso in alcune frange della Chiesa - soprattutto negli States - a seguito della gestione della morte di Benedetto XVI potrebbe fare gola ad un eventuale candidato alla nomination presidenziale sotto le insegne del Gop.

La menzione di due figure amatissime tra i cattolici conservatori americani come Giovanni Paolo II e del cardinale Zen potrebbe stare lì a testimoniarlo.

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