
Tanti auguri a te... tanti auguri Leone, tanti auguri a te! Oggi, 14 settembre, Leone XIV compie 70 anni. È Papa da poco più di 100 giorni. Se per i presidenti degli Stati Uniti il traguardo dei 100 giorni è tradizionalmente il momento di un esame importante, per chi guida una Chiesa bimillenaria, 4 mesi sono pochissimo tempo. In occasione della sua elezione avevo scritto che la prima impressione avuta al suo affacciarsi alla loggia di San Pietro la sera dell'8 maggio era quella del «ruggito di un agnello». Ha raccolto la non facile eredità di Papa Francesco, incarnandola con un passo diverso. Non c'è rottura, ma continuità nella diversità. Bergoglio era uno sprinter, Prevost è un maratoneta. Papa Francesco partiva con slanci dando tutto a ogni passo, lasciando stupiti per le sue performance ogni 100 metri. Ho l'impressione invece che Papa Leone proceda da maratoneta con passo lento e regolare guardando al traguardo: sostenere ogni iniziativa per la pace e la giustizia sociale, dare grande attenzione alle sfide digitali e all'Intelligenza artificiale, radicare il proprio insegnamento sulla dottrina sociale nel dialogo tra la comunità e la società (il nome dice proprio una priorità su questo) e puntare sui giovani, futuro della Chiesa e del mondo. Anche per questo molti hanno un giudizio sospeso: «ma come è questo Papa?» mi sento spesso chiedere. Un uomo semplice. Un animo emotivo. Un temperamento riflessivo. Una fisicità sportiva. Un carattere sorridente. Una personalità determinata. Una gestualità misurata. Un approccio conciliante. Un linguaggio
chiaro. Un'umanità che ascolta. Una normalità che costruisce. Un profilo connesso (da Vescovo e Papa era presente sui social e lanciava post, usa WhatsApp, dalla veste bianca a volte fa capolino un Apple Watch, scrive email e conosce bene le dinamiche della navigazione in rete). Un umorismo affettuoso, ma che prende sul serio ogni dettaglio. Un cervello elastico (mi colpisce pensare alle sue quattro lauree non tanto e solo per il numero, ma per gli ambiti tanto diversi: filosofia, teologia, matematica e fisica, diritto). La caratteristica però che più mi ha colpito è la sobrietà. Fino a Giovanni Paolo II e a Benedetto XVI i Papi portavano le scarpe rosse, simbolo del sangue dei martiri del passato e del presente che hanno dato la vita per il Vangelo segnando il cammino della Chiesa, ma anche segno della passione di tanti fedeli che sostengono il procedere del Pontefice e a cui lui deve far riferimento passo per passo. Di Papa Francesco invece ricordiamo le scarpe comuni e nere, comode e logore che hanno aperto cammini nuovi spesso in salita, accompagnando la Chiesa in uscita. Ora di Papa Leone mi attira non il colore o la foggia della scarpa, ma il passo felpato in punta di piedi. Per lui non conta solo il cammino, ma come si cammina. Non gli interessa copiare il carisma dei predecessori e non cerca gesti eclatanti. La sostanza è la stessa, cambia la modalità. Per Papa Leone la priorità è l'unità come ha messo nel motto del suo stemma: con l'arte del non avere fretta, la pacatezza dei toni, l'eleganza dei modi invita a cercare punti di incontro e di consenso duraturi,
piuttosto che soluzioni rapide o polarizzanti. È proteso a facilitare ogni dialogo, cesellandolo sul rispetto, sull'ascolto e sulla ricerca del bene comune, piuttosto che sull'imposizione o sul protagonismo personale. Leone XIV ha dimostrato che si può essere seguaci senza essere imitatori, riformatori senza essere rivoluzionari, leader senza bisogno di clamori, uomini audaci nella speranza agendo con equilibrio nel consolidamento. Ho letto: «Francesco è stata la tempesta che ha scosso la barca, Leone XIV è la brezza costante che la fa andare avanti senza lasciare nessuno alla deriva». In Sant'Agostino, padre e stella polare nella formazione spirituale e sacerdotale di Prevost, c'è un principio che dipinge bene questo Papato che stiamo cercando di conoscere: «Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene».
In queste parole ci vedo Leone XIV nel suo essere profondamente «pontefice», cioè costruttore di ponti non solo tra terra e cielo, ma tra tanti pezzi di mondo in guerra, tra tradizione e modernità, tra chiesa e mondo, tra tradizione e giovani, tra visione e normalità, tra vangelo e diplomazia, tra fede e ragione, tra parole e ascolto. Per me quindi è un equilibratore e non un equilibrista, cioè restauratore e custode di equilibri, avendo imparato dal suo Sant'Agostino che «non si cambia il mondo in un giorno, ma un giorno alla volta».