Fumata bianca

Voci, dubbi e confessioni: la Chiesa si interroga sul pontificato

Aumentano le critiche e le trame intorno a papa Francesco, anche da parte dei progressisti. Inoltre, spunta la rivelazione del cardinale che pronosticò un conclave vicino

Voci, dubbi e confessioni: la Chiesa si interroga sul pontificato

I cosiddetti conservatori si leccano le ferite rimediate in poco più di un mese. Prima la morte di Benedetto XVI, poi quella improvvisa del cardinale George Pell, ora la notizia del ricovero in ospedale del cardinale anticomunista Joseph Zen per problemi respiratori. Il 2023, iniziato a poche ore dalla morte di Joseph Ratzinger, non sembra essere l'anno fortunato di chi si sente a disagio con la linea dell'attuale pontificato. In settimana, peraltro, è stata anche ufficializzata l'accettazione della rinuncia di monsignor Giampaolo Crepaldi che dopo 13 anni lascia la guida della diocesi di Trieste al sacerdote Enrico Trevisi. Nonostante il prelato avesse compiuto 75 anni solo da pochi mesi, Francesco non ha concesso alcuna proroga e lo ha mandato in pensione. Fu Benedetto XVI a nominarlo a Trieste nel 2009 ed è a quel pontificato che Crepaldi deve essersi sentito legato, rimanendo uno dei pochi vescovi italiani "sopravvissuti" di quella stagione.

L'ultimo saluto australiano a Pell

Nonostante ciò, la morte di Benedetto XVI e quella del cardinal Pell sembrano aver dato, paradossalmente, vitalità ad un mondo stordito da quasi dieci di pontificato bergogliano come quello (volendo semplificare) tradizional-conservatore. Infatti la straordinaria e per certi versi inaspettata partecipazione all'esposizione della salma e alle esequie del Papa tedesco ha messo in secondo piano le divisioni fino ad oggi esistenti e ha dato slancio a chi nella Chiesa non vuole vedere svanire l'eredità di quel pontificato.

Un effetto simile c'è stato a seguito della morte del cardinale George Pell, vero punto di riferimento per chi - senza cadere in attacchi strumentali - vive con sempre più insofferenza l'attuale corso nel governo della Chiesa. Il suo improvviso decesso ha contribuito a rendere pubblico il suo lavoro dietro le quinte per arrivare ad una prossima "normalizzazione" ai vertici della Chiesa dopo gli ultimi anni. Forte anche dell'autorevolezza che gli veniva dalla persecuzione mediatico-giudiziaria, Pell era riuscito a parlare ed essere ascoltato anche da personalità insospettabili. Pell non tramava alle spalle del Papa: era un uomo schietto e il suo disaccordo lo manifestava pubblicamente, come emerso nell'ultimo articolo al vetriolo pubblicato sul The Spectator nel quale aveva criticato fortemente il Sinodo sulla sinodalità voluto da Jorge Mario Bergoglio.

La stima conquistata dal cardinale australiano non si è vista soltanto nel funerale celebrato in Vaticano lo scorso 14 gennaio e dalle dichiarazioni sul suo conto rese da cardinali, vescovi, politici e intellettuali, ma anche dalla partecipazione registrata alla messa funebre nella cattedrale St. Mary di Sydney che ha preceduto la sepoltura nella cripta.

Odio e amore

Migliaia di persone, decine di vescovi, i familiari in prima fila. L'ultimo addio della sua Sydney, con la cerimonia celebrata dal successore, monsignor Anthony Colin Fisher, ha dato l'immagine di una Chiesa orgogliosa e coraggiosa mentre fuori dalla chiesa qualche centinaio di manifestanti augurava a Pell di andare all'inferno con cartelli ed urla. Nella sua commemorazione, il fratello David ha attaccato i "falsi cattolici" che lo hanno abbandonato nei giorni del carcere.

Tony Abbott, ex primo ministro e suo grande amico, lo ha ricordato come "il più grande cattolico che l'Australia abbia prodotto e uno dei più grandi figli del Paese", ignorando le proteste di una parte dell'opinione pubblica che devono aver spinto invece l'attuale premier Anthony Albanese a non partecipare nonostante si dichiari cattolico.

Le ultime confessioni di Pell

La grande commozione per la morte del cardinale ha favorito in queste ultime ore ulteriori rivelazioni sulle sue ultime confessioni. Dall'altra parte dell'oceano, infatti, sul quotidiano The Australian, due suoi amici come la biografa Tess Livingstone e il gesuita Frank Brennan hanno raccontato due episodi emblematici dell'insofferenza dell'ex prefetto della Segreteria per l'economica vaticana nei confronti dell'attuale pontificato.

Ha scritto Livingstone: "In privato poteva essere duro riguardo alla mancanza di rispetto per i morti, come lo era stato nella nostra ultima conversazione, la notte prima di andare in ospedale. In quell'occasione, era infastidito dal fatto che il Vaticano avesse consentito l'apertura dei negozi durante i funerali di Papa Benedetto in Piazza San Pietro, la scarsa predica di Papa Francesco sul suo predecessore, l'omissione del canone romano a favore di un'altra preghiera eucaristica e i burocrati della curia che rendevano difficile per la concelebrazione dei sacerdoti".

Padre Brennan, invece, dopo aver ricordato - così come aveva fatto anche Abbott - il ruolo significativo svolto dal cardinale negli ultimi due conclavi, ha rivelato che Pell "nonostante avesse più di 80 anni e non fosse in grado di votare, sperava di avere un'influenza decisiva nel determinare l'esito del prossimo. A pranzo a Roma, qualche settimana fa, mi assicurò che il prossimo conclave non era lontano". Per questo motivo, ha scritto il gesuita, Pell aveva detto gli amici che non sarebbe tornato in Australia per sottoporsi all'intervento chirurgico all'anca perché "non voleva rischiare di trovarsi dall'altra parte del mondo dopo l'operazione e prima del conclave".

Chi vi scrive può confermare entrambe le rivelazioni: è vero, come riportato da Livingstone, che le modalità di gestione del funerale di Benedetto XVI avevano infastidito il cardinale così come è vero che, nonostante i consigli di amici e conoscenti di operarsi in patria o al massimo a Londra, Pell aveva fortemente voluto rimanere a Roma perché convinto che un eventuale conclave si sarebbe potuto tenere in qualsiasi momento.

Un pontificato in affanno

Francesco ha dimostrato, invece, di essere in buona salute e ben saldo, al punto da mantenere la promessa di compiere il viaggio apostolico in Repubblica Democratica del Congo e Sud Sudan che era stato precedentemente costretto ad annullare per via dei dolori al ginocchio. E l'Africa ha dato al Papa l'occasione di respirare un clima di entusiasmo che manca da un po' a Roma.

Non c'è solo il fronte cosiddetto conservatore a dare grattacapi al pontefice argentino. L'attacco più duro, infatti, lo ha incassato dal capo dei vescovi tedeschi, l'ultra-progressista Georg Bätzing, che in un'intervista alla Welt ha dichiarato di ritenere che "questo modo di esprimersi della leadership della Chiesa, attraverso interviste, sia estremamente discutibile”. In una recente intervista ad Associated Press, il Papa si era espresso nettamente sull'esperienza tedesca, dicendo che il Sinodo tedesco è "un cosiddetto cammino sinodale, ma non della totalità del popolo di Dio, ma fatto di élite" e paventando "il pericolo che trapeli qualcosa di molto, molto ideologico".

Il presidente della conferenza episcopale tedesca non ha avuto timore di rimproverare Bergoglio, criticandolo per non aver sollevato queste obiezioni durante la recente visita ad limina dei vescovi tedeschi. "Siamo stati lì per una settimana intera - ha osservato Bätzing - ci siamo seduti insieme a Papa Francesco per due ore e mezza. Quello sarebbe stato il luogo e il momento per il Papa di parlarci, allora avremmo potuto anche rispondere”. Nemmeno in Germania, dunque, si fanno sconti al Papa che non ha bloccato lo svolgimento del processo sinodale nonostante le riserve manifestate dalla minoranza dell'episcopato nazionale e dalla Curia romana.

Oggi, nel volo di ritorno a Roma, Francesco avrà l'occasione di rispondere alle domande dei giornalisti accreditati.

Vedremo se sarà anche l'occasione per rispondere alle numerose critiche incassate dall'inizio di questo 2023.

Commenti