Vecchie canzoni in feluca l’Italia riscopre la goliardia

Prima tappa a Milano il 20 febbraio con canti e «carmina» della tradizione

Eleonora Barbieri

La feluca è in un armadio, al riparo da occhi indiscreti e dalla polvere, ma solo in apparenza, per nascondere una risata che aspetta soltanto il momento giusto, quello dello scherzo, dell’ironia che irrompe anche nel quotidiano, anche se sei un manager, un dirigente, un amministratore delegato. La goliardia è in uno scaffale, immerso nell’anima di ogni suo «adepto»: perché essere un seguace di questo movimento non è un capriccio effimero, è una vocazione, uno spirito che ti porti dietro per tutta la vita.
Mantello, copricapo e «carmina», comparsi nelle università italiane alla fine dell’800, nella Torino di Efisio Giglio Tos, adesso tornano in scena, trascinatore Roberto Brivio, ispiratore Gustavo Palazio e, dal 20 febbraio, cominciano una tournée nelle città sedi di atenei: prima tappa il Mazdapalace di Milano, dove sbarcano «I canti goliardici», canti di gioia, per coinvolgere, ricordare e, soprattutto, divertire. «Carmina blasphema», canzonette scurrili, maledette, che della tradizione latina raccolgono la vena più dissacrante, che si rifanno al Medioevo e alle origini delle università, ma per richiamarsi a Pietro Abelardo, il filosofo della logica che non accettò mai la rigidità della cultura dominante, del rigore come deviazione dalla retta via. La passione della «Corda Fratres» in palcoscenico, con i protagonisti in abiti neri, con il «karaoke» per i versi in latino, tira fuori dai cassetti l’aria dei corridoi e delle aule universitarie, prima del ’68, prima dell’ondata che ha segregato la goliardia fra le manifestazioni del pensiero conservatore, passata in giudicato dal tribunale del progresso: obsoleta, borghese, niente a che vedere con le spinte rivoluzionarie. Soltanto voglia di divertirsi, piacere del gioco, sulla scia irriverente tracciata dal maestro Aretino, del Porta, da Bracciolini.
Dopo Milano, Torino, Parma, Bologna, Padova: in tutto sono 47 le città dove il pubblico potrà partecipare ai cori allusivi riproposti da Brivio.

Il «Gufo», regista e protagonista, per quest’arguto «culto dello spirito» ha una speranza, che «le goliardate e quei canti che per una vita sono stati accolti con sufficienza, trattati solo nelle riviste di fine anno accademico, citati segretamente nei papiri o tramandati nelle riunioni di Piola, davanti a numerosi fiaschi di vino, saranno presi in considerazione forse da Umberto Eco: e sarà la loro fortuna».

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