Da un vecchio microfono escono le parole della notte

Da un vecchio microfono escono le parole della notte

di«L’Home Insurance Building, signore», stava dicendo l’anziano al giornalista che gli stava di fronte, «non aveva che una dozzina di piani. Nulla al confronto di questo moderno grattacielo, alto centinaia di metri. Eppure, dall’ultimo di quei piani, ci si poteva affacciare su un panorama mozzafiato della città di Chicago».
Il giornalista annuì, senza distogliere lo sguardo dal taccuino su cui prendeva distratti appunti: era quasi impossibile riuscire a fissare il volto disgraziato del suo interlocutore.
L’uomo si chiamava Ben Hayer. I genitori, armeni, avevano abbandonato la loro terra poco prima del genocidio del 1915. La fame e le ristrettezze degli emigranti nella grande America erano poca cosa, se messe al confronto con le scorribande dei turchi.
Avevano atteso un figlio come il Messia e avevano sognato per lui il più florido futuro. Dopo mille tentativi infruttuosi, il bimbo era finalmente venuto al mondo con un parto assai difficile e l’uso del forcipe al momento del concepimento aveva irrimediabilmente danneggiato la fisionomia del neonato.
«La capisco, signore», disse Ben. «Capisco che non sia facile guardarmi in volto. Almeno, nei film e nei romanzi, i mostri sono cattivi e fanno paura. Pensi quali possano essere state le difficoltà incontrate da uno come me: un mostro buono. Metta da parte gli appunti. Socchiuda gli occhi e si lasci condurre nel mio sogno. Perché di un sogno si è trattato...».

«All’inizio degli anni ’30 mio padre trovò lavoro presso una delle stazioni radio della città e, nel tempo, si guadagnò la fiducia dei due soci fondatori, Palmer e Fills, dell’emittente radiofonica.
Avevo da poco passato i venti anni, nel 1943, e mio padre riuscì a ottenere un’audizione: diceva che la voce di suo figlio fosse la più bella che avesse mai sentito.
«Ma... ma è un mostro!», fu il commento di uno dei soci della WKT Radio.
E l’altro: «Poco cambia. Alla radio non conta l’aspetto, ma la voce. E il giovane Ben ha una voce calda e suadente. Sono certo si farà strada».
Iniziai come semplice lettore di notizie. Poi, visto il gradimento riscosso dai miei toni, mi venne affidata una trasmissione notturna: Le parole della notte.
«Le parole della notte...», ripeté il giornalista, «una trasmissione che ha fatto epoca».
«Già», continuò Ben, «e, allora, i presentatori radiofonici erano dei veri e propri divi da rotocalco. Ricevevo centinaia di richieste al giorno. Provenivano da persone bisognose di un consiglio, di una conferma, di una semplice “carezza” nell’etere. E la mia voce era pronta a regalargliela. Sapevo meglio di altri che cosa significasse essere emarginati».

«Vada avanti, Ben, la prego».
«Saggiamente i due soci della WKT avevano creato attorno al presentatore notturno una sorta di cortina di impenetrabile mistero. Sulla mia figura circolavano le voci più disparate, sino al momento in cui si trovarono costretti a rivelare l’identità. Nel frattempo, nel capitale dell’emittente che andava crescendo a dismisura erano entrati degli altri soci rappresentati da un italiano dalle dubbie frequentazioni. Fu proprio questo nuovo socio, Frank Davetta, a indicare agli altri due la soluzione.
«Una Ghost Voice», disse Davetta nel corso della riunione. «Il nostro Ben altro non sarà che una “Voce fantasma”. Un po’ come quelli che scrivono i libri per gli altri, o le controfigure dei film».
«Gran bella pensata! E come l’avete presa?», commentò ironico il giornalista.
«Non ero pronto ad affrontare i fan. E la mia paura era che, una volta che mi avessero visto in carne e ossa, nessuno più mi avrebbe seguito alla radio. Vede, la radio è magica. Ti fa vedere senza guardare. Ti fa osservare ascoltando. Ti fa sognare comodamente seduto sulla poltrona. E per me, per il mostro della notte, la radio rappresentava il solo appiglio alla vita sociale».
«Mi racconti ancora, Ben. Come proseguì lo scambio di identità?».
«Fu molto semplice, signore: Frank Davetta reperì un giovane bellimbusto con una voce abbastanza simile alla mia e lo impalmarono seduta stante nei panni del più seguito conduttore radiofonico d’America».

«Ricordo che mi recavo alla sede della radio travestito da garzone di bar. Per rendere più credibile la cosa, era stata messa in giro la voce che Greg Salerno - questo il nome della mia controfigura - seguisse da buon italoamericano i suoi riti scaramantici prima di andare in onda. Mangiare un sandwich di pollo faceva parte del rituale. E il garzone deforme glieli consegnava freschi, dopo essersi fatto largo fra le turbe di fan che aspettavano l’arrivo della star della notte. Restavano lì, davanti all’ingresso dell’Home Insurance Building sino alle prime luci dell’alba, quando la trasmissione finiva e qualcuno andava a svegliare Greg e entrambi ci allontanavamo dalla sede. Io percorrendo un ingresso secondario, lui tra i flash dei fotografi e le richieste di autografi da parte dei fan.
«Quella notte avevo appena raccolto nell’etere le sensazioni di chi, come me, si apprestava a trascorrere il Natale da solo. Uscii nel freddo della mia città che non sembrava volersi svegliare in quel giorno di festa. Arrivai a casa con un groppo in gola, che si trasformò in commozione quando osservai il presepe, unico oggetto che i miei genitori erano riusciti a portare via dell’Armenia. Chissà perché mi vennero in mente i fan in attesa di Salerno davanti al portone. “Magari fossi io come Greg”, mormorai accarezzando con una punta d’invidia una delle statue del presepe, “non mi sentirei più così solo!”.
«Non so dopo quanto tempo sprofondai nel sonno. Il sogno che feci mi parve reale ed è ancora vivo nella mia memoria. Mi ritrovai all’interno di un locale da ballo, seduto al tavolo con alcuni brutti ceffi e delle donne. Di fronte a me c’era Frank Davetta.
“E adesso, caro Greg”, mi disse Frank chiamandomi col nome della mia controfigura, “mi sono scocciato di avere per soci due vecchi radioamatori. Non hanno la stoffa per crescere. Ho già disposto affinché vengano sistemati dai nostri ragazzi. Faranno un bel botto. E vedrai, con qualche aggiustamento tecnico alla tua voce, nessuno si accorgerà nemmeno della sostituzione del mostro”.
«Mi allontanai dal locale. Raggiunsi la sede della radio in pochi minuti e mi infilai nell’ufficio dei signori Palmer e Fills senza bussare.
“Ma come vi permettete, signor Salerno”, disse Palmer, “di entrare in questa maniera...”.
“Non sono Greg Salerno, signor Palmer. Sono io, Ben. Sono qui per mettervi in guardia. Il vostro socio ha intenzione di farvi del male”.
“Se si tratta di uno scherzo, signor Salerno, la preghiamo di smettere”, disse ancora Palmer sempre più stizzito. “Le ricordo che lei percepisce un fior di stipendio per dormire comodamente, mentre Ben lavora al suo posto”.
“Aspetta un attimo, Palmer, ascolta la sua voce. Riconoscerei quella di Ben tra mille”, disse Fills. “Vai avanti ragazzo”.
“Non so dirvi di più. Mi sono ritrovato nei panni di Greg mentre il vostro socio stava raccontandogli i suoi turpi progetti. Ma, forse, si tratta solo di un sogno e tra poco mi sveglierò”.
«In quell’istante un fattorino chiese il permesso di entrare e depositò sulla scrivania un pacchetto indirizzato ai due proprietari della WKT Radio.
“Non apritelo!” dissi io».

Fu a quel punto che il giornalista lo interruppe: «Come andò a finire?».
«Mentre mi risvegliavo sul divano di casa, il pacco esplosivo fu neutralizzato dagli artificieri. I due soci dichiararono di essere stati messi in guardia da un identico sogno premonitore fatto la notte precedente. Dopo laboriose indagini, Frank Davetta fu riconosciuto come mandante e condannato. Qualche giorno più tardi Palmer e Fills mi convocarono e, entrambi scapoli e senza eredi, mi comunicarono che si sarebbero ritirati dagli affari lasciando a me la direzione della WKT Radio. Oggi ancora qualcuno mi chiama “Il mostro”, ma non ci faccio più caso: uno tra i più grandi editori radiofonici del mondo sarebbe comunque definito un mostro. Ancora oggi, però, mi piace sedermi davanti ai microfoni della mia emittente a tarda sera e rincorrere le anime che, nella notte, si aggirano nell’etere. Sono piene di sogni.

Spesso dico loro che alcuni di questi si avverano proprio stanotte, nella notte di Natale».
Mentre parlava Ben Hayer accarezzava la statuetta di un presepe armeno che teneva sulla scrivania. Oltre la vetrata il panorama della città illuminata a festa si perdeva all’orizzonte...

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