VELOSO

Noblesse oblige. Per chiudere lo slendido mese musicale di «MiTo» arriva stasera all’Alcatraz il re dei suoni brasileiri Caetano Veloso. Tutto esaurito naturalmente e caccia al biglietto per l’artista nelle cui mani la musica brasiliana diventa arte popolare e preghiera di una religione naturale e viva. «Avevo molto talento per le arti e una di loro mi ha scelto. Perché la musica? Semplice, perché sono brasiliano».
Lui spiega così, con assoluta modestia, le magie della sua chitarra e della sua voce che s’inseguono tra grazia melodica e ritmi elastici, uniscono l’eco pagana del carnevale e le pulsanti armonizzazioni del jazz, le antiche suggestioni del «candomble» e gli impulsi rivoluzionari della bossa nova.
Eccolo il figlio prediletto (e il più schivo e antistar) dei figli di Bahia «tierra de todos los santos». E sicuramente anche lui è stato toccato dalla grazia di Dio nel rinnovare il folklore sudamericano, nel far conoscere al mondo la spiritualità sensuale e feconda del Tropicalismo (che oggi si è sviluppato ulteriormente attraverso la corrente aperta dai Los Tribalistas) nel continuare a rinnovare sperimentando in tutte le direzioni, giocando con samba e radici africane, con sapori caraibici e pop, con gioia sfrenata e saudade. «Perché molti di questi stili hanno le stesse radici - ammonisce Veloso -; samba e blues ad esempio cantano la libertà passando attraverso il dolore che prima diventa speranza, poi gioia di vivere».
La sua cifra stilistica non cambia pur essendo sempre diversa; è la radice che conta, quella da cui Veloso non si muove neppure quando si tuffa - scandalizzando i puristi - nel songbook americano rileggendo nell’album A Foreign Sound (un suono straniero) pezzi come Sophisticated Lady di Duke Ellington, So In Love di Cole Porter agganciando persino Come As You Are dei Nirvana. Del resto Veloso è un’anima girovaga e il lungo esilio londinese, negli anni Sessanta e Settanta, «è stato meno difficile anche grazie ai Rolling Stones».
Veloso non ama la cultura angloamericana, ma considera il blues, il jazz e il rock «riflesso della vera cultura popolare americana, quindi fonte primaria della musica moderna. È la forma d’arte più completa che l’America abbia mai espresso. L’America ha diverse facce contrastanti e quella musicale è la più viva».
Recentemente ha scosso i puristi affrontando a viso aperto il rock (sempre alla sua maniera) con Cê, un album scritto per chitarra basso e batteria con incursioni elettroniche. Un album insinuante, irriverente, a tratti ambiguo, che Veloso dice di aver inciso per «stimolare la discussione critica sul rock: per farlo ci voleva una band in cui tutti ci alternassimo al canto e in cui la voce fosse manipolata elettronicamente. Pensavo al soun dei Gorillaz che amo molto». Quindi nel disco ha radunato giovanotti gagliardi come Ricardo Dias Gomes al basso e al pianoforte, Marcelo Callado alla batteria e il fido Pedro Sa («senza le mie conversazioni sul rock con Pedro il cd non sarebbe mai nato») alla chitarra.


Lui, Veloso, sarà una presenza palpabile ma discreta, suonando la chitarra acustica con corde di nylon («perché nononstante tutto non so picchiare sulle corde come fanno i rocker») e legando passato e presente tra i nuovi brani e le indimenticabili poesie dell’immaginario collettivo carioca.
Caetano Veloso
stasera ore 22
Alcatraz via Valtellina
ingresso 25 euro

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