Veltroni avverte: crisi se salta la riforma

Contro l’intesa Veltroni-Berlusconi «i carrarmati ormai sono tutti usciti per le strade», dice Peppino Caldarola, buon amico del sindaco di Roma.
L’ultimo cingolato è sceso in campo ieri mattina, al volante D’Avanzo (Repubblica). E per quanto abusati e traballanti, i ferrivecchi giudiziari, financo se forgiati a Napoli, hanno sul popolo di centrosinistra, allevato per anni a pane e anti-berlusconismo, un effetto assicurato, come il Viagra. Quello di imprimere un marchio d’infamia sulla fronte di chi tratta con l’Uomo nero.
Veltroni, che conosce bene quel popolo e quegli umori, ha subito capito la portata del colpo inferto alla sua strategia, e ieri i suoi non nascondevano la preoccupazione: «Ora tutto diventa più complicato, con questa roba di mezzo». Dal sindaco nessun commento ufficiale alle cartuccelle partenopee, solo una iper-cauta nota ufficiosa per dire che (fosse fondata l’inchiesta) certo non sarebbe una bella storia. I nemici del dialogo hanno un’arma in più, non bastassero la resistenza di Prodi, la scatenata guerra dei cespugli dell’Unione, l’azione di lobbying pro-tedesco di D’Alema che spinge Fini tra le braccia di Casini. Anche se il ministro smentisce: «Mi occupo degli Esteri, non di questa roba», giura con interlocutori Pd.
Veltroni però contrattacca: attenti, avverte, se si blocca la riforma e si va al referendum come vogliono Prodi e i «piccoli», la legislatura rischia di finire. «Qualcuno, non io», la crisi la apre. Ad esempio Rifondazione.

E allora «ne vedremo di tutti i colori»: governo istituzionale (Amato è stato silurato grazie alla lettera a Craxi, ma resta Marini «di cui il Cavaliere si fida», dicono nel Pd), o elezioni. Col Porcellum, che (ricordano i veltroniani a D’Alema, Rutelli, Prodi ecc.) mette la scelta dei candidati nelle mani di uno solo: il segretario del partito.

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